Colpo di Stato in Egitto: destituito e arrestato il presidente Morsi

IL CAIRO  – Citandolo solo una volta per dire che non ha risposto alle domande della gente, il ministro della Difesa egiziano Abdel Fattah el Sissi ha di fatto deposto Mohamed Morsi, primo presidente dei Fratelli musulmani, con una road map per nuove elezioni presidenziali.

Circondato da vertici militari, ma soprattutto dai rappresentanti delle opposizioni e dai massimi esponenti di Al Azhar e della Chiesa, el Sissi ha scelto di dare un’immagine di coesione e di vasto sostegno all’operazione con la quale Morsi è stato rimosso dal potere a un anno e tre giorni dal suo insediamento.

La road map, che non precisa quando le elezioni presidenziali si terranno, affida i poteri di emanare decreti presidenziali al presidente della corte costituzionale, sospende la Costituzione e ne affida la riscrittura ad un comitato con la partecipazione di tutte le forze politiche, prevede la nascita di un governo di tecnici e di un comitato di riconciliazione nazionale con l’apporto dei giovani.

Morsi, che secondo alcuni fonti è stato portato in una sede dell’intelligence, prima ancora dell’annuncio della road map, è stato informato alle 19 (ora locale), dai militari che avevano tentato per tutto il giorno di convincerlo a dimettersi, offrendo a lui e alla sua famiglia protezione e immunità giudiziaria.

In una ricostruzione delle convulse fasi che hanno segnato la fine della presidenza Morsi, al Ahram online ha scritto che il negoziato si è interrotto con l’insistenza di Morsi di avere garanzie di incolumita’ anche per i vertici della Fratellanza. I militari si sono rifiutati sostenendo che alcuni di loro sono accusati di avere incitato alla violenza. Fine della trattativa e Morsi è da quel momento diventato ex presidente.

El Baradei, l’uomo chiave
E’ il premio Nobel per la pace Mohamed el Baradei, l’uomo che sta gestendo, per conto di tutte le opposizioni egiziane, i negoziati per definire il dopo Morsi. Insieme al grande imam di al Azhar e al papa copto Tawadros II si rivolgerà al popolo egiziano, alla presenza di quadri militari e responsabili del movimento dei ribelli, per annunciare l’accordo raggiunto durante l’incontro con i vertici delle forze armate sulla road map proposta per uscire dalla crisi politica attuale. Un percorso che comprende le tappe future ”per una corta fase transitoria seguita da elezioni presidenziali e parlamentari”.

A suo agio nelle trattative, el Baradei, già capo dell’Aiea (l’Agenzia atomica internazionale), nei giorni scorsi ha tentato di diluire la tensione condannando ogni tipo di violenza.

“Più pacifici siamo più forti diventiamo”, ha scritto su un messaggio Twitter il leader del Fronte di salvezza nazionale dopo aver chiesto le dimissioni di Morsi ”per darci la possibilità di entrare in una nuova fase basata sui principi della libertà e della giustizia”.

Considerato uno dei papabili alla presidenza subito dopo la caduta dell’ex rais Hosni Mubarak, Baradei era stato criticato per essere stato troppo tempo fuori dal Paese e per non essere sufficientemente a conoscenza delle esigenze dell’elettorato. Era infatti rientrato in Egitto nel 2010, in un primo momento accolto come un eroe, e aveva partecipato attivamente alla rivoluzione che aveva portato alla deposizione di Mubarak. Poi, nel gennaio 2012, aveva gettato la spugna sostenendo di non volersi candidare in mancanza di un sistema veramente democratico. El Ora Baradei, diplomatico di lungo corso, è di nuovo l’uomo chiave della svolta.

Morsi, ascesa e caduta del nuovo Faraone
Da ‘ruota di scorta’ del partito dei Fratelli Musulmani per la corsa alla presidenza a nuovo ‘faraone’ ormai destituitp, sotto la pressione della piazza, dai militari. E’ la breve parabola di Mohamed Morsi, 62 anni, master e insegnamenti universitari di ingegneria negli Usa e nel suo Paese.

Nato nel 1951 a Sharqiya nel Delta del Nilo, Morsi era la ‘seconda scelta’ del suo partito per la candidatura, perchè meno carismatico di Khairat El Shater, uomo d’affari e vice Guida suprema della Fratellanza escluso dalla commissione elettorale. Accreditato come un ”simbolo della rivoluzione” durante la campagna elettorale, Morsi era stato parlamentare indipendente tra il 2000 ed il 2005, e nel 2006 era finito in carcere dopo avere denunciato brogli elettorali.

Da parlamentare aveva combattuto contro la corruzione ma anche dato prova di conservatorismo sociale: di lui si ricordano le critiche alle riviste con copertine di nudi, alle scene ‘immorali’ in tv, ai concorsi di Miss Egitto contrari alle ”norme sociali, alla Sharia e alla costituzione”. Ma nel suo programma per le presidenziali Morsi fece poi entrare anche l’impegno contro ogni discriminazione ai danni delle donne nella società egiziana.

Rimasto in gara al secondo turno contro l’ultimo premier del periodo Mubarak, Ahmad Shafiq, fu proclamato vincitore con quasi il 52% dei voti, molti dei quali giunti anche dai giovani della rivoluzione e del fronte laico e liberale, che si ”turarono il naso” pur di non vedere tornare al potere un uomo del passato. Ma dal giorno del suo insediamento in carica, il 30 giugno 2012, la sua strada è stata piena di ostacoli e tensioni. Dal muro contro muro con la magistratura, cominciato con la sua decisione di riconvocare quell’Assemblea del popolo a maggioranza islamista che la Corte costituzionale aveva sciolto un mese prima, e proseguito con la dichiarazione costituzionale del 22 novembre, in cui sottraeva i suoi decreti ad eventuali annullamenti da parte dei giudici e rimuoveva il procuratore generale (reintegrato proprio ieri). Fino al confronto-scontro con la piazza, che si intensificava a fine 2012 con le manifestazioni davanti al palazzo presidenziale e proseguiva nel nuovo anno, con puntuali, pesanti bilanci di morti e feriti.

Nel Paese è salito intanto il malcontento per la crisi economica, i black out energetici, il calo del turismo e la disoccupazione; è cresciuta la rabbia degli oppositori che hanno iniziato a considerare Morsi un dittatore, e a temere per una costituzione giudicata troppo aperta a interpretazioni islamiste; è aumentato il disagio per quella che è stata percepita come incompetenza della Fratellanza a governare, associata alla volontà di concentrare cariche e poteri. Ad alzare la tensione il ripetersi di scontri interconfessionali tra cristiani e musulmani con esiti spesso sanguinosi, ma anche l’aggravarsi della situazione di insicurezza nel Sinai, ‘terra di nessuno’ e regno di milizie armate, o l’aprirsi del nuovo fronte con l’Etiopia sull’uso delle acque sul Nilo.