Console Generale Giovanni Davoli: “Alla fine si hanno solo ricordi piacevoli”

CARACAS – Referendum, elezioni politiche, sequestri e, purtroppo, anche qualche morto: alcuni che pochi o nessuno ricorderanno, come il connazionale detenuto e ucciso in carcere poco prima di essere estradato in Italia; ed altri assurti agli onori della cronaca, come gli otto turisti precipitati in mare nel 2008 e Vittorio Missoni, la moglie e gli amici, disgraziatamente inabissatisi al largo dell’Arcipelago di Los Roques. Dopo 4 anni di esperienza venezuelana, il Console Generale di Caracas, Giovanni Davoli, fa un bilancio della missione svolta nel Paese.

– Alla fine – ci dice – sono e resto un grande ottimista. Riesco a ricordare solo le cose positive, le esperienze piacevoli. E, lasciatemelo pur dire, sono state tantissime.

Emozioni e preoccupazioni. Prima, durante e immediatamente dopo. Non è facile conciliare le responsabilità del lavoro con il trasloco. Le 24 ore della giornata non sembrano mai sufficienti. Si vorrebbe più tempo; magari rubare qualche ora al sole per allungare le giornate. Ma, si sa, non è possibile. Quando si è in procinto di abbandonare un luogo dove si è vissuto a lungo – non importa se un quartiere per un altro, se una città per un’altra, se una regione per un’altra, se un Paese per un altro – i sentimenti che si accavallano sono contrastanti e le attività si moltiplicano. Anche così, il Console Generale, Giovanni Davoli, appare tranquillo e riesce a ritagliarsi uno spazio per conversare con la “Voce”. Dovevano essere pochi minuti poi, invece, è stato molto di più.

– Dopo quattro anni – commenta – sono un funzionario diverso, un uomo diverso. Ho imparato tantissime cose. Sono maturato.

Sostiene che quello di Console Generale, specie se la comunità è tanto complessa e articolata come la nostra, “è un lavoro assai impegnativo”. Quindi insiste:

– Al di là delle tante amicizie e frequentazioni, dentro e fuori il Consolato, il lavoro svolto è stato così impegnativo che sicuramente mi ha cambiato, mi ha migliorato.

– Avevi idea di cosa avresti trovato?

– E’ stato meglio di quello che pensavo – afferma sorridendo -. Ci sono state tante belle sorprese. Sono riuscito a fare di più di quanto onestamente si potesse pensare.

– In che senso?

– Sono convinto che il lavoro di un Console, spiegato in maniera semplice – sostiene -, sia quello di aiutare il prossimo, i connazionali. Da questo punto di vista, sono molto felice di dire che lo abbiamo potuto fare.

Spiega che “qualunque Console, in qualunque parte del mondo, arriva in una realtà che già esiste e che non può determinare”. Insomma, la Collettività è là, ha già il suo modo di vivere, di essere. Ha già i suoi leader, coloro che si atteggiano a tale o che aspirano ad esserlo.

– Quando un Console arriva in un posto – prosegue – non può pretendere d’essere lui il leader. Il Console deve fare uno sforzo per integrarsi, per capire la Collettività e adattarsi ad essa. Non può pretendere il contrario. Le Comunità hanno una storia molto più lunga della sua. Se riesce a compenetrarsi ad essa, ad esserne parte… se riesce a dare giusto riconoscimento ai suoi punti di riferimento, quelli che c’erano prima di lui e che ci saranno dopo di lui, allora il lavoro diventa molto più semplice e piacevole.

E’ convinto che il ruolo di un Console non sia solo quello di essere “super-partes”; deve essere riconosciuto tale, se vuole che l’istituzione sia rispettata. In altre parole, “deve essere amico di tutti, cercando di sfruttare ogni strumento in suo possesso per il bene dei singoli e della Collettività nel suo insieme”.

– Vorrei citare due successi importanti, ottenuti in questi anni – rileva -. A mio avviso, il primo è stato l’apertura dell’istituzione consolare alla Comunità. So che alla Farnesina il Consolato di Caracas, come assistenza al pubblico, é citato come esempio virtuoso nel mondo. Certo, raggiungere completamente una comunità così grande e, a volte, dispersa come l’italo-venezuelana è stato onestamente impossibile. Però lo sforzo lo abbiamo fatto e abbiamo ottenuto anche buoni risultati. Oggi un connazionale che si reca in Consolato é ricevuto e assistito in tempi ragionevoli, senza importare quale possa essere la sua necessità. Inoltre il connazionale, attraverso il nostro account in Twitter può dialogare e chiedere direttamente al Console Generale informazioni o, addirittura, risolvere un problema personale.

Sostiene che, al momento, questo “cinguettio” non ha “uguali in tutta la rete consolare italiana”. E’ la magia delle nuove tecnologie che, se impiegate con intelligenza, ci semplificano la vita.

E ora passa a illustrare il secondo aspetto, a nostro avviso il più importante, della sua gestione: l’assistenza ai connazionali meno fortunati.

– Anche qui ci consideriamo molto soddisfatti – afferma con orgoglio -. Tutti sappiamo che il grande problema del Venezuela, che incide anche sulla qualità di vita dei connazionali, è l’assenza di una assistenza sanitaria pubblica adeguata.  E’ questo l’aspetto che da anni preoccupa le nostre istituzioni.

Il Console Davoli considera che l’assistenza pubblica, “poco a poco stia migliorando, ma che sia ancora molto lontana dagli standard europei”. E così è necessario rivolgersi alle strutture private. Ma i prezzi per un’operazione anche banale o per un’emergenza sono tali che anche connazionali con stipendi superiori alla media rischiano la bancarotta famigliare, se non sono in possesso di una polizza. Insomma, non bisogna essere poveri per essere esclusi dall’assistenza medica in strutture private.

– Come avete risolto questo problema?

– Con meccanismi inaugurati 2 anni fa, che ci hanno dato ottimi risultati – spiega -. Abbiamo un accordo con Locatel, per l’assistenza farmaceutica, e uno con B.O. Medical, per l’assistenza medico-chirurgica. Grazie alle convenzioni firmate con queste società, siamo riusciti ad assistere centinaia di connazionali. E’ stato possibile risolvere anche casi difficili. Di ciò, credo, si possa andare molto, molto fieri.

– Certamente non sono state tutte rose e fiori, qualche spina ci deve pur essere stata. Ecco, quali   difficoltà hai incontrato in questi 4 anni di permanenza in Venezuela?

Sorride. Temporeggia. Poi, con la prudenza del diplomatico ma senza eludere la domanda, ci spiega:

– Il Venezuela è un Paese difficile che attraversa una tappa complicata; una fase turbolenta caratterizzata da un elevato livello di insicurezza. E’ capitato in più occasioni di essere interrotti nel nostro lavoro in ufficio o di essere svegliati a tarda notte dalla notizia di un sequestro. La difficoltà sta nel vivere questa realtà, nello starci dentro; risiede nello stare a contatto con le vittime di questi drammi; drammi che non puoi risolvere perché non hai la bacchetta magica. Puoi soltanto stare vicino al connazionale, cercare di aiutarlo grazie anche ai nostri esperti e portargli conforto.

Spiega, poi, che negli ultimi anni, il Venezuela si è costruito una fama negativa. Nella misura in cui questa cresce, aumentano anche i disagi per reclutare personale che voglia lavorare nel paese.

– Un’altra difficoltà – aggiunge – è stata quella di far capire ai funzionari che il connazionale deve essere al centro del nostro lavoro, della nostra attenzione. Il cittadino che si reca in Consolato vuole avere risposte rapide, efficienti. Insomma, soluzioni che gli semplifichino la vita. Chi si rivolge a noi deve avere una risposta. Non importa se a volte questa non è quella che vorrebbe ascoltare. All’inizio non è stato facile. Nessuno insegna a noi burocrati come semplificare i problemi delle persone che si recano presso gli uffici pubblici. E’ così in Italia ma lo é anche in altri paesi.  Oggi, chi lavora in Consolato ha capito qual è il suo ruolo. E probabilmente – ci dice per concludere – è il primo ad essere orgoglioso del proprio lavoro.

Agustìn Codazzi, la mela della discordia
Tra radicalismo e moderatezza. Quanto sta accadendo alla nostra scuola “Agustìn Codazzi” merita un discorso a parte. E’ evidente la necessità di una maggiore sensatezza da parte di tutti gli attori. In effetti, né gli atteggiamenti estremisti di alcuni genitori, giustamente preoccupati per il futuro dei loro figli; né quelli intransigenti della Giunta Direttiva, in particolare del suo presidente sempre “uccel di bosco” quando vi è un’assemblea – condotta che alimenta dubbi, sospetti e speculazioni che vogliamo credere privi di ogni fondamento -, contribuiscono a creare il clima di collaborazione indispensabile a risolvere i tanti problemi dell’istituto scolastico. Il timore è che certi comportamenti di chi sostiene di voler “salvare” la scuola possano invece condurre l’istituto a un punto di “non ritorno” e a decretarne la sua chiusura.

Ne parliamo con il nostro Console generale, Giovanni Davoli, che è stato uno dei protagonisti di questa spiacevole vicenda, essendo il Provveditore agli studi, e che è da tempo impegnato a trovare soluzioni per ristabilire un dialogo tra le parti.

– Cosa sta accadendo realmente nella nostra scuola? – chiediamo – Come si sta gestendo questa “strana” vicenda che rischia di avere un finale drammatico?

Non risponde immediatamente. E non sorprende. La questione è molto delicata; tanto delicata che ha visto la discesa in campo anche della nostra Ambasciata.

– Credo che siano stati fatti importanti passi avanti – ci dice misurando le parole -. Si sta facendo un grosso sforzo, anche da parte dell’Ambasciata, per far entrare la ragionevolezza in questo confronto.

Abbiamo assistito ad assemblee assai polemiche, a confronti infuocati, a scambi di parole che non fanno onore né all’uno né all’altro protagonista e ora é necessario ristabilire il dialogo.

– Ho assistito a momenti di irrazionalità, in questo confronto – prosegue –. Ho ascoltato voci, per fortuna isolate. Sono quelle di minoranze rumorose. Ci sono stati, poi, genitori che hanno intrapreso azioni che francamente non riesco a capire; strategie che hanno arrecato danni alla scuola e ai giovani che vi studiano.

Sostiene che, fortunatamente, poco a poco, sta avendo la meglio la sinderesi, l’equilibrio nei comportamenti.

– Sì – ammette -, esiste un problema economico. E’ evidente. E la Giunta Direttiva è la prima a denunciarlo. Peraltro i finanziamenti pubblici sono stati ridotti e l’Agustìn Codazzi, da due anni, non riceve soldi pubblici. Il Consolato ha proposto alcune soluzioni. Ha anche offerto borse di studio, per superare questo momento difficile. Ma i genitori non hanno accettato. Devo dire che alcuni di essi hanno grosse responsabilità nell’aggravarsi di questa situazione. Ve ne sono alcuni che non pagano le rette. Non sono pochi. La Giunta Direttiva avrà le sue responsabilità; avrà commesso i suoi errori. Ma se i genitori non pagano, non vedo come la scuola possa andare avanti. Questo, va detto, è uno dei motivi per cui esiste un buco economico.

Sostiene che la Giunta Direttiva “sta facendo sforzi, sta facendo del suo meglio per mantenere la scuola in piedi”. E commenta:

– E’ una scuola di cui tutti siamo orgogliosi. E’ l’unica puramente italiana nel continente Americano. E’ una buona scuola dal punto di vista accademico. Ha ottimi professori che fanno un eccellente lavoro; un lavoro straordinario per conservare l’italianità e trasmetterla ai giovani. Bisogna però vedere se questa situazione è sostenibile nel lungo termine; bisogna analizzare a fondo le prospettive, perché la domanda di una scuola come l’attuale Agustìn Codazzi diminuisce giorno dopo giorno.

Il Console Davoli sostiene che la presenza di una scuola con le caratteristiche dell’Agustìn Codazzi riflette una realtà incontrovertibile: “la nostra è la Collettività più “italiana” di tutte; almeno nel continente americano”.

– E lo è – prosegue – perché anche la sua emigrazione è più recente. Quindi, c’è ancora la richiesta di una scuola italiana. Ma – ammette – sono sempre meno i giovani che si recano in Italia a frequentare l’università. La stragrande maggioranza resta in Venezuela. E’ ora di chiedersi, e la Giunta Direttiva della nostra scuola dovrebbe essere la prima a farlo, se questo schema di scuola paritaria italiana, puramente italiana, ha futuro. Insomma, se può resistere nel tempo o, al contrario, se sia necessario esplorare schemi diversi. Ad esempio – conclude -, quello di un tipo di scuola bilingue a doppio curriculum che permetta agli studenti di ottenere sia il diploma italiano che quello venezolano. E’ una proposta che io ho lanciato nel corso di una delle assemblee alle quali ho assistito. Credo che si debba cominciare a lavorare in tal senso.

Da Caracas  a New York
Una sede prestigiosa. Una responsabilità diversa, perché diverso è l’incarico. Anche se non lo vuole ammettere, il suo trasferimento equivale a un’importante promozione; promozione, sia detto per inciso, più che meritata visto l’ottimo lavoro svolto in Venezuela. Il Console generale, Giovanni Davoli, lascerà nei prossimi giorni il Paese per recarsi a New York, e lavorare all’interno della rappresentanza italiana presso le Nazionali Unite.

– Farò un lavoro diverso – ci spiega con entusiasmo -. Sarà un lavoro politico, multilaterale.

– Di cosa ti occuperai?

– Cercherò di spiegarlo in modo semplice e chiaro – risponde -. D’altronde, in questo caso, anch’io sono ancora un profano.

Prende il suo tempo, forse perché alla ricerca di quelle parole che possano rendere meglio l’idea; forse, chissà, perché già pensa alle prossime sfide. Quello di New York, per il nostro Console, è un quaderno in bianco; un quaderno che dovrà scrivere giorno dopo giorno con i suoi successi, che ci auguriamo siano tanti, ma anche con il pericolo di errori da evitare. D’altronde, solo chi non accetta  sfide e non assume responsabilità  è libero dal commetterli.

– Nella mia carriera – confessa – ho svolto varie funzioni e assunto responsabilità diverse. Ma non ero mai stato chiamato ad un lavoro politico. Sarà senza dubbio un compito molto diverso da quello svolto fino a oggi. Fare paragoni – prosegue – è molto difficile. Noi diplomatici siamo preparati a svolgere ruoli diversi: quello consolare, quello politico bilaterale e quello politico multilaterale. L’attività bilaterale è quella dell’Ambasciatore nei singoli paesi; la multilaterale è quella che si realizza in seno agli organismi internazionali. Quali di questi lavori sia il più delicato e il più interessante dipende, alla fine, dalle attitudini personali. Ciò che per me può essere motivo di stress, può non esserlo per altri.

Sottolinea che fare il Console generale a Caracas “non è stato facile” ma, in cambio, “le soddisfazioni sono state tante”.

– Come mi andrà a New York ? Non lo so.

– Sarà comunque una nuova sfida, una nuova avventura…

– Indubbiamente – ammette per poi proseguire con umiltà:

– Quella italiana presso l’Onu è una grande rappresentanza. Ci lavorano una ventina di diplomatici. Forse, assieme a quella presso l’Unione Europea a Bruxelles, è una delle più grandi. L’Ambasciatore, il capo della rappresentanza, assegna ad ognuno un dossier. Non so quale sarà il mio, ma spero di fare un buon lavoro.

 Non solo esperienze piacevoli
Delusioni e disinganno. Se è vero che, alla fine, restano solo i ricordi piacevoli, lo è anche che, in quattro anni, non sono mancate parentesi spiacevoli. Ad esempio, il capitolo relativo alla  chiusura di una scuola italiana. Il Console Davoli, in qualitá di Provveditore agli Studi, ha avuto un ruolo decisivo nel caso dell’istituto scolastico “Bolìvar e Garibaldi”, pilotando la chiusura della scuola italiana in modo da salvaguardare gli interessi degli utenti – leggasi, alunni e genitori.

– Per quanto riguarda le scuole paritarie – afferma – è necessario chiarire subito che né lo Stato italiano, né l’Ambasciata, né il Consolato Generale ne sono proprietari. Questi sono istituti privati che rispondono a logiche economiche. La proprietà decide se conviene andare avanti o no. Nessuno può obbligarli. Detto ciò, le scuole paritarie danno un servizio pubblico. E quindi, è evidente che la chiusura debba seguire un certo cammino. A noi non piace che una scuola paritaria chiuda. E’ accaduto ma speriamo che non accada mai più.

Spiega che certe decisioni non possono essere evitate perché condizionate dalla realtà economica e perché i contributi che lo Stato stanzia per tale fine sono sempre più esigui.

– Nel caso della “Bolìvar e Garibaldi” – prosegue – direi che tutto si è concluso bene. Alla fine siamo riusciti a ragionare in maniera positiva assieme ai proprietari della scuola e si è fatto ciò che doveva essere fatto. Se la chiusura di una scuola è inevitabile, procediamo pure. Ma dobbiamo dare un preavviso giusto, permettere che si finisca l’anno scolastico. Insomma, dobbiamo cercare di limitare i danni.

 

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