Fedi: “Integrarsi significa intraprendere nuovi percorsi sociali”

ROMA  – Sabato scorso si è tenuto a Roma il Forum Immigrazione del Partito Democratico per discutere delle iniziative da assumere sui temi dell’immigrazione alla luce delle novità della situazione politica generale.

All’incontro ha partecipato anche Marco Fedi, deputato del Pd eletto in Australia.

“Questa legislatura – ha detto Fedi nel suo intervento ai lavori – sembra essersi avviata all’insegna di una diversa sensibilità verso i molteplici e complessi problemi d’integrazione che gli italiani debbono affrontare, sia dentro che fuori dai confini nazionali. Sin dal voto di fiducia al nuovo Governo, il Presidente Letta, in un breve ma significativo passaggio, ha dichiarato la volontà di valorizzare la presenza dei “nuovi italiani ” e di far tesoro della risorsa costituita dai 4 milioni e mezzo di cittadini italiani che vivono all’estero, senza contare i sessanta milioni di italo-discendenti presenti in diverse parti vitali del mondo. Noi eletti all’estero, poi, non abbiamo mancato di sottolineare il valore, non solo simbolico, ma politico culturale ed etico, della nomina di un migrante a Ministro dell’integrazione. Mi permetto di dire, anche in relazione alle scomposte reazioni che questa decisione ha suscitato, che il fatto che alcuni rappresentanti istituzionali degli emigrati italiani abbiano pubblicamente condiviso questa decisione e riconoscano nel Ministro Kyenge un interlocutore serio e positivo per diverse questioni riguardanti le comunità italiane all’estero, sia un segnale da non minimizzare dei cambiamenti culturali e politici che stanno avvenendo in questo campo. Tuttavia, non ci siamo fermati ai messaggi”.

“Integrarsi, lo sappiamo bene noi che l’abbiamo dovuto fare nelle nostre società di insediamento – ha sottolineato il deputato – significa intraprendere nuovi percorsi sociali, stabilire nuove relazioni, misurarsi con altre culture e altri modelli di vita, ma anche individuare interlocutori istituzionali con cui dialogare e trovare risposte a problemi concreti e impellenti. Da parlamentari quali siamo, con un forte radicamento nelle comunità italiane all’estero ma “senza vincolo di mandato”, come recita la Costituzione, abbiamo cercato di sostanziare questa prospettiva di lavoro sull’integrazione con una serie di atti che tengano conto delle esigenze che si manifestano sui due versanti, quello dell’emigrazione e quello dell’immigrazione. Abbiamo dunque avanzato proposte sul tema della cittadinanza e su quello del rilancio delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale con paesi nei quali sono presenti comunità italiane e dei quali ospitiamo non meno importanti comunità, sul tema della formazione dei giovani ad una cultura dell’integrazione mediante l’insegnamento multidisciplinare dell’emigrazione nel quadro delle migrazioni contemporanee e sulla trasformazione del Museo dell’emigrazione italiana in Museo delle migrazioni, sulla creazione di una sede istituzionale di partecipazione degli stranieri in Italia e sui delicati problemi previdenziali che riguardano sia gli emigrati che gli immigrati”.

Secondo Fedi, “si tratta di riportare a galla  quella cultura della mobilità che ha attraversato molte generazioni di italiani e dimostrare con i fatti che il contributo che i nostri connazionali hanno dato allo sviluppo e alla modernizzazione di intere aree del pianeta, altri oggi lo possono dare a noi, aiutandoci a superare la grave crisi che attraversiamo. Sul piano etico, poi, noi possiamo aiutare gli italiani a convincersi che non è giusto fare agli altri quello che gli altri hanno fatto a noi, dal razzismo all’emarginazione, dallo sfruttamento all’insicurezza e alle tragedie sul lavoro, dalla selezione scolastica dei ragazzi immigrati al non riconoscimento delle competenze e del merito. Ci auguriamo che questa volontà di intrecciare le nostre energie e di concorrere allo sviluppo di un unitario, anche se articolato processo di integrazione, sia condivisa anche da voi. Anche perché ci sono serie questioni che dentro e fuori dal Parlamento ci impongono un confronto immediato. Ad iniziare dal tema della cittadinanza. Non abbiamo avuto alcuna esitazione, noi parlamentari del PD eletti all’estero, a sostenere con convinzione il proposito del Ministro Kyenge e di componenti politiche importanti, di attualizzare con realismo e umanità le forme di concessione della cittadinanza agli stranieri, a partire dai ragazzi che nascono in Italia. Alle vestali dello jus sanguinis, che pure per gli italiani all’estero è il principio guida del riconoscimento della loro cittadinanza, abbiamo ricordato che milioni e milioni di italiani sono diventati cittadini di altri paesi perché hanno potuto godere dello jus soli riconosciuto da nazioni che, in conseguenza delle migrazioni internazionali, sono diventate tra le più moderne e potenti del mondo”.

“Anzi, – ha proseguito – ci sembra arrivato il momento di rilanciare in termini generali il confronto culturale e giuridico sulla cittadinanza, non pretendendo banalmente di sostituire un principio all’altro, come in un gioco di scatole cinesi, ma interrogandosi seriamente sul modo come cercare un equilibrio tra lo ius sanguinis e lo jus soli, adeguato ai tempi e alla realtà di un Paese come l’Italia che ormai ha nel suo territorio tante persone di origine straniera quanti cittadini residenti oltre i confini. Sul piano normativo, non si possono avere più remore a rimettere mano, con serietà e senza permissivismo, alla legge sulla cittadinanza del ’92. Si tratta di fare oggi l’operazione di inquadramento giuridico e culturale che si fece vent’anni fa rispetto alla vecchia legge del 1912. Il passo più importante da compiere è quello che altri nostri partner hanno fatto da anni, vale a dire adeguare la normativa alla transizione sociale avvenuta negli ultimi decenni a seguito delle migrazioni. Voglio dire, però con sincerità che sarebbe per noi deludente se in una materia tanto delicata si operasse per compartimenti stagno e in un’ottica di pura emergenza, limitandosi a dare risposte parziali alla questione della cittadinanza e mutilandola di alcune sue articolazioni. Pensiamo, in concreto, che contestualmente alle decisioni che si andranno a prendere per la concessione della cittadinanza a chi è in Italia, non si possano eludere situazioni altrettanto urgenti attinenti alla condizione degli italiani all’estero. Mi riferisco a due aspetti, che mi limito ad accennare. Il primo si riferisce alle donne che hanno perduto la cittadinanza senza colpa per avere sposato uno straniero e non la possono trasmettere ai loro figli. Anzi, dopo alcune sentenze che hanno eccepito l’incostituzionalità di tale privazione, l’hanno potuta trasmettere ai figli nati dopo l’entrata in vigore della Costituzione, non a quelli nati prima. Sicché, in una stessa famiglia, alcuni figli di una stessa madre sono cittadini, altri non lo sono”.

“Una sentenza della Cassazione – ha spiegato Fedi – ha consentito di superare questa aberrazione sul piano giurisdizionale, non su quello amministrativo perché manca una banale modifica della legge”.

Altro argomento affrontato da Fedi è stato quello della cittadinanza.

“Un secondo aspetto non più rinviabile è quello riguardante gli italiani che, emigrati in altri paesi, si sono dovuti naturalizzare per ragioni di lavoro. Essi sono nati in Italia e vorrebbero morire italiani, ora che è consentito quasi ovunque la duplice cittadinanza. È giusto negargli questo riconoscimento?”.

Il deputato ha quindi citato un’altra proposta, da lui avanzata assieme agli altri colleghi del PD eletti all’estero: “riflettendo sul laboratorio australiano, che conosco bene, abbiamo proposto l’istituzione di un Consiglio nazionale per l’integrazione e il multiculturalismo. L’intento – ha spiegato – è quello di stabilizzare e dare continuità alle politiche dell’integrazione creando una sede riconosciuta istituzionalmente nella quale si possano elaborare proposte e realizzare un coordinamento più efficace di tali politiche”.

Concludendo, Fedi ha ribadito “la fecondità di un impegno comune per l’integrazione sostanziato di esperienze vissute dagli italiani in paesi stranieri e da stranieri in Italia”.