Snowden: l’ira Usa: ”Ridatecelo’. Casa Bianca in difficoltà”

NEW YORK – La Russia deve espellere Edward Snowden. Non c’é alcuna giustificazione legale che impedisca alle autorità russe di rispedirlo negli Stati Uniti. La Casa Bianca reagisce così all’ennesimo ‘schiaffo’ di Mosca, che ha deciso di esaminare la richiesta di asilo temporaneo formalizzata dalla ‘talpa’ del Datagate. Ma il reiterato appello che parte da Washington appare oramai come un disco rotto, con l’amministrazione Obama sempre più in difficoltà nel gestire una situazione che rischia di sfuggire definitivamente di mano.

Le pressioni sul presidente sono sempre più forti. I repubblicani lo invitano a fare di più, a mostrare i muscoli, accusandolo di soggezione nei confronti del Cremlino.

– La Russia si sta prendendo gioco degli Stati Uniti – ha denunciato Michael McCaul, presidente della commissione per la sicurezza nazionale della Camera dei Rappresentanti, dicendosi convinto che ”ogni giorno che passa Mosca ficca sempre più il naso” nei segreti Usa, quelli in mano a Snowden.

– Siamo costantemente in contatto con le autorità russe – si difende la Casa Bianca, le cui speranze sono ormai quelle di sbrogliare l’intricata matassa ai primi di settembre, quando il presidente Obama incontrerà a San Pietroburgo il collega russo Vladimir Putin, alla vigilia del summit del G20. Sempre che, nelle prossime settimane, non ci siano nuovi colpi di scena.

La cosa che fa più infuriare Washington, infatti, è che concedere l’asilo temporaneo a Snowden significa anche concedergli una sorta di salvacondotto che gli permetterà finalmente di muoversi liberamente per Mosca: non più ‘prigioniero’ nell’aeroporto internazionale Shermentevo. Il timore che la ‘talpa’ possa di nuovo sparire sono forti. E non bastano a rassicurare le parole dell’avvocato russo di Snowden, per il quale il suo assistito resterà (per ora) nella zona transito dello scalo moscovita. In questa fase, però, i margini di manovra dell’amministrazione Obama sono davvero pochi. Alla Casa Bianca non resta quindi che lanciare l’ennesimo monito a tutte le capitali a cui Snowden ha chiesto asilo. E insistere nel mantra secondo cui l’ex esperto informatico della Cia non sarebbe ”un attivista per i diritti umani, nè un dissidente”: ma un uomo ”ricercato per il trafugamento di informazioni segrete, che deve tornare negli Stati Uniti per affrontare un processo con l’accusa di spionaggio”. Monito o appello che sia, il rischio è comunque che cada ancora una volta nel vuoto.

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