Un’offesa che ci tocca In carne propria

Vergognoso, disdicevole. E’ il meno che possa dirsi. Ciò che sta accadendo in Italia ha offeso la dignità di quanti, come tutti noi, vivono all’estero. Dai pionieri, che a loro tempo furono obbligati dalle circostanze a cercare altrove ciò che la Madrepatria non poteva offrire: un lavoro e la speranza di una vita migliore; alle nuove generazioni, che conoscono bene i sacrifici fatti dai bisnonni, dai nonni e dai genitori.

L’insulto, a tratti sussurrato a tratti urlato contro il ministro per l’Integrazione, Cecile Kyenge – colpevole di aver avanzato proposte che collocherebbero l’Italia allo stesso livello delle nazioni più progredite in materia di diritti umani, più che per il colore della sua pelle o per le origini africane –  illustrano bene le ragioni per cui non deve sorprendere l’atteggiamento di una parte dell’Italia, costituita da una minoranza assai rumorosa, nei confronti delle nostre comunità radicate all’estero. Atteggiamento fortunatamente assai diverso da quello espresso sia dal premier, Enrico Letta, che dalla ministro degli Esteri, Emma Bonino.

Altre nazioni considerano le loro comunità all’estero, spesso di gran lunga meno numerose e meno integrate nel tessuto sociale dei paesi in cui vivono, una risorsa. Insomma, non una zavorra per l’economia ma una ricchezza da apprezzare e valorizzare. Sono tante le nazioni che invidiano all’Italia le sue comunità oltre frontiera. Purtroppo, “nemo propheta in Patria”.

Chi vive l’Italia fuori d’Italia, é giá sufficentemente amareggiato dagli scandali e dai processi che travolgono personaggi importanti della vita pubblica dell’Italia e che incidono negativamente sulla sua immagine internazionale. Vorremmo assistere, almeno su quei temi che ci toccano da vicino come il dramma dell’immigrazione – perchè lasciare il proprio Paese è sempre un dramma umano – ad un dibattito sulle idee e non ad una gara all’insulto.

L’emigrazione è sempre stata fonte di ricchezza. Non ci stancheremo mai di dirlo e di ripeterlo. Nel 2010, stando al rapporto “Gli Stranieri: un valore economico per la società” della Fondazione Leone Moressa, gli imprenditori stranieri erano 628 mila, “il 6,5 per cento del totale degli imprenditori” in Italia. Nel 54 per cento dei casi, essi erano titolari dell’attività e si concentravano “nelle aree del centro-nord dove il tessuto produttivo è più dinamico ed è caratterizzato da una forte presenza di piccole e medie industrie”. Il rapporto, inoltre, spiegava che “nel 2009 in Italia sono stati conteggiati oltre 30 milioni di contribuenti nati all’estero – circa 7,9 per cento dei contribuenti totali – che hanno dichiarato redditi per un valore complessivo di oltre 40 miliardi di euro, ovvero il 5,1 per cento dell’ammontare complessivo dei redditi dichiarati”.

Si può discutere sulle proposte avanzate dalla ministro Keynge – anche se in cuor nostro consideriamo che dare la nazionalitá a chi é nato in Italia sia un atto di giustizia nei confronti dei tanti bambini nati ed educati nel nostro paese e che forse non torneranno mai più nella terra dei genitori – senza ricorrere agli insulti.  L’integrazione, la conoscenza degli altri, l’accettazione del diverso sono le uniche strade percorribili per risolvere anche gli annosi problemi di noi emigrati che sono ancora in attesa di soluzione.  Emigrazione e immigrazione sono le due facce di una stessa medaglia e cosí devono essere viste e analizzate. Nel rispetto di tutti e con un approccio degno di un paese come l’Italia.

L’atteggiamento dell’europarlamentare Mario Borghezio, non sorprende più di tanto. Quello dell’ex ministro Roberto Calderoli, uomo delle istituzioni, sì. Sono tanti i giovani italiani che, oggi, emigrano in cerca di quel lavoro che l’Italia non riesce a dargli; sono tanti i figli degli italiani all’estero a cui viene negata la nazionalità per leggi inadeguate ancora vigenti. E’ già doloroso sapere che ancora oggi i giovani debbano emigrare per necessità: lo è ancor di più essere coscienti che i nostri figli, solo per non avere la nazionalità italiana a causa di cavilli burocratici, potrebbero essere insultati come lo è stata la nostra ministro.

Sono queste realtà che, in un mondo globalizzato in cui le frontiere diventano sempre più vituali, non dovrebbero esistere.

É stata applaudita all’estero – con giusta ragione – la decisione di abbattere l’aberrante discriminazione tra figli “legittimi” e “illegittimi”, nello stesso modo e con lo stesso fervore si dovrebbe condannare chi, nell’offendere la dignità della Ministro Kyenge, offende quella di tutti noi emigranti e figli di emigranti.