Asse Colle-Letta su Alfano

ROMA – Sarà la prima volta, oggi, che un presidente del Consiglio interviene in Aula su una mozione di sfiducia individuale ad un ministro. A Palazzo Chigi citano la casistica per spiegare la valenza politica del voto su Angelino Alfano.

– E’ un voto di fiducia sul governo, chi é contrario si assuma la responsabilità di lasciare il paese senza guida – é la sfida con cui il premier, ‘blindato’ ieri dalle parole del presidente della Repubblica, ha piegato dubbi e malumori del Pd.

Solo 7 senatori si sono astenuti nella riunione di gruppo ma non si placa l’indignazione di Matteo Renzi per le mancate dimissioni del ministro dell’Interno. Il presidente del Consiglio, questa mattina a Palazzo Madama, non ripercorrerà, a quanto si apprende, la ricostruzione degli avvenimenti che hanno portato all’espulsione di Alma Shalabayeva e della figlia, dando per acquisita la relazione del Capo della Polizia. Ma, come ieri il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, ribadirà la gravità della vicenda sia per i profili internazionali sia perchè il governo é stato tenuto all’oscuro.

Letta resta convinto dell’estraneità del ministro dell’Interno e della trasparenza dell’esecutivo per accertare fatti e responsabilità. Ma, siccome la polemica politica é montata fino al punto di sfiorare la crisi di governo, oggi più che un voto su Alfano il premier chiederà un voto di fiducia sul governo. A mettere in guardia dai ”danni irrecuperabili” di un vuoto politico é il presidente della Repubblica:

– Non ci si avventuri a creare vuoti o a staccare spine –  dice con chiarezza il Capo dello Stato tra gli applausi del Pdl. Linea cavalcata anche dal segretario Pd Guglielmo Epifani per far rientrare il malessere contro Alfano, partito dai renziani ma diffusosi in modo trasversale.

– Il governo deve andare avanti – chiede l’ex leader Cgil. E nella riunione dei senatori, il ministro Dario Franceschini drammatizza i toni:

– In questo governo tutti ci devono mettere la faccia, é ora di smetterla con quelli che non si allineano alle decisioni del partito facendo le anime belle mentre gli altri sono i cattivi.

Ultimatum che Pippo Civati interpreta come la minaccia di espulsione per chi non voterà contro la mozione di sfiducia.

– Mai minacciato espulsioni, Civati mente, voglio scuse immediate – si indigna il ministro che non nega, però, la durezza dei toni usata all’assemblea del gruppo. E alla fine il voto dà ragione ai filogovernativi del Pd: 80 votano a favore del no alla sfiducia e 7 astenuti, di cui solo 3 renziani. Un voto compatto sul governo, ”non a favore di Alfano”, chiariscono i dem che avrebbero voluto un passo indietro del ministro.

I malumori, in realtà, restano: Matteo Renzi non ha intenzione di zittirsi contro le mancate dimissioni. Ma tutte le correnti del Pd, bersaniani compresi, mandano giù un boccone amaro e chiedono una direzione con il premier Enrico Letta per tarare il rapporto tra il Pd e il governo. Chi, invece, può dirsi soddisfatto è Silvio Berlusconi che già guarda, tra ansia e fiducia, al 30 luglio e alla decisione della Cassazione sul processo Mediaset.

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