I Fratelli colpiti al cuore, non riempiono piazze

IL CAIRO. – Le lacrime di Recep Tayyip Erdogan, che ha pianto ascoltando le parole della lettera di un leader dei Fratelli musulmani egiziani alla figlia uccisa, hanno accompagnato nel “venerdì dei martiri” i sostenitori del presidente egiziano deposto Mohamed Morsi che, decapitati e disorganizzati, sono tornati a sfilare nelle città. Hanno ricordato le vittime delle violenze delle ultime settimane, ma senza riuscire a mobilitare i milioni che avrebbero voluto. Erano un milione secondo gli organizzatori, probabilmente diverse decine di migliaia a giudicare dalle immagini dei cortei, che grazie alle nuove tecnologie i militanti pro-Morsi sono riusciti a mandare in onda, mentre le tv governative – che hanno quasi tutte apposto il logo “L’Egitto combatte il terrorismo” – ostentavano sequenze rassicuranti di famiglie a passeggio e venditori ambulanti in piazze tranquille e senza traccia dei Fratelli musulmani. Nel Delta del Nilo la tensione per il “venerdì dei martiri” indetto dai pro-Morsi è sfociata in violenti scontri: un morto e 24 feriti a Tanta, a causa dei disordini scoppiati tra i manifestanti delle opposte fazioni e “sedati” dall’intervento della polizia. Scontri e colpi di arma da fuoco in aria per disperdere la folla a Mansura, mentre al Cairo e Giza – governatorati divisi formalmente sul piano amministrativo ma che abbracciano la megalopoli – al tramonto i dimostranti ancora inneggiavano a Morsi, scandivano “non siamo Fratelli musulmani, solo musulmani” e ancora “non è una guerra contro i Fratelli ma contro l’Islam”. Ma i pro-Morsi sono costretti a incassare nelle ultime 24 ore l’arresto di altri 19 leader, tra esponenti della Confraternita e rappresentanti del suo braccio politico, il partito Giustizia e libertà (Fjp). Resta alla macchia Mohamed el Beltagy, obiettivo numero uno delle forze di sicurezza. La sua lettera toccante per i funerali della figlia Asma uccisa a Rabaa, che la famiglia ha dovuto leggere in assenza del padre in fuga, ha fatto commuovere il premier turco Erdogan. “Per uccidere la pecora devi tagliarle la testa”, è il ridondante passa parola nelle vie del Cairo, avvolte nel surreale silenzio che inizia dopo il coprifuoco. “La Primavera araba non è finita, è stata completamente cancellata”, grida un ragazzo, deluso nel vedere piazza Tahrir occupata sì, ma non dagli anti-Mubarak – che volevano protestare contro la scarcerazione dell’ex rais ma hanno cancellato l’appuntamento per “evitare scontri con gli islamici” – bensì dai militari. Tahrir, come Ramses e Rabaa infatti sono state presidiate sin dalle prime luci del giorno dai carri armati M113, i cingolati dell’esercito armati con mitragliatrici pesanti. Almeno 12 quelli schierati a Tahrir, dove meno di una decina di persone ha pregato nella piazza antistante la moschea Omar Makran, chiusa alla preghiera per evitare incidenti come quelle di Rabaa e Ramses – 200 i fedeli che hanno pregato davanti alle forze di sicurezza schierate a difesa di al Fatah, la moschea-obitorio -. “Il problema è che c’è un’ondata di follia in Egitto”, dice Ahmed Maher, uno dei fondatori del movimento “6 aprile” che nel 2011 ebbe un ruolo fondamentale nella caduta del regime del rais, “è come se si fosse azzerato tutto” e stesse tornando il vecchio regime con i suoi “metodi”. Gli Stati Uniti, alle prese anche con il dossier siriano, hanno incalzato Il Cairo sottolineando, per bocca dello stesso presidente Barack Obama, che gli aiuti americani “non devono servire a sostenere azioni contrarie ai nostri ideali e valori”. Dal presidente è poi partita una stoccata diretta ai militari: “non hanno colto l’opportunità” per avviare la riconciliazione. Washington è tornata a ribadire poi la richiesta perché “sia avviato l’iter che porti alla scarcerazione di Morsi”. Ma l’era dei Fratelli musulmani e degli anti-Mubarak sembra definitivamente tramontata: la bozza della nuova Costituzione, che comunque dovrà passare attraverso un referendum, mette al bando i partiti religiosi (ovvero i Fratelli musulmani e i salafiti) e fa cadere l’interdizione per gli uomini legati all’ex Faraone, appena uscito di prigione. I generali del Cairo possono considerare la vittoria a un passo.

Costituzione mette al bando i partiti religiosi
Colpo di spugna nella bozza della Costituzione egiziana, sospesa il 3 luglio scorso dopo la destituzione di Mohamed Morsi: il comitato di esperti con il compito di emendare la Carta ha preparato norme che segnano un salto indietro nel tempo dell’Egitto. I saggi hanno previsto il bando per i partiti di ispirazione religiosa, in concreto le formazioni politiche dei Fratelli musulmani ma anche quelle salafite, la cancellazione del controverso art. 219, che illustrava con dovizia di particolari gli ambiti e le modalità di applicazione della legge islamica, la Sharia, che già l’art. 2 considera fondante del diritto egiziano. E ancora: elezioni con il sistema uninominale, fine dell’interdizione politica per gli ex responsabili del regime Mubarak, nomina del procuratore generale sottoposta al placet del capo dello Stato. Il presidente sarà poi giudicabile se un terzo dei parlamentari lo accuserà di attività contrarie agli interessi del Paese, una sorta di impeachment al ribasso. Gli emendamenti già approvati, per complessivi 124 articoli della Carta, sono stati pubblicati dalla stampa governativa. Ora toccherà a un comitato costituente di 50 membri, tra i quali i rappresentanti della ‘società civile’, dei militari e delle forze di sicurezza, apporre i cambiamenti definitivi. Passati 60 giorni il testo finirà sul tavolo del presidente ad interim Adly Mansour, che dovrà decretare – se manterrà fede alla ‘road map per la democrazia’ annunciata dopo la destituzione di Morsi – un referendum popolare per l’approvazione della nuova Carta costituzionale.

 

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