Sul G20 di San Pietroburgo l’ombra della crisi dei Paesi emergenti

MOSCA  – Sull’ imminente G20 di San Pietroburgo incombono non solo i venti di guerra americani in Siria ma anche i sintomi di crisi dei Paesi emergenti, compresa la Russia, per la prima volta padrona di casa del summit. Un’ombra che non impedirà ai leader di assumere nuovi impegni comuni, in particolare su crescita, aumento dell’occupazione e fiscalità, ma che rischia di mettere gli Usa nel mirino anche per la loro nuova politica monetaria.

Mentre la zona euro, uscita in parte dalla recessione, sembra vedere la luce in fondo al tunnel, Paesi come l’India, il Brasile, la Turchia, ma anche la Russia – finora in spinta a dispetto della crisi che ha colpito l’occidente – sono alle prese con una frenata del pil e soprattutto con una caduta della loro moneta nazionale. La divisa indiana è crollata del 25%, quella brasiliana del 15%, quella turca dell’11%. Anche il rublo è scivolato: circa il 10%, mentre le previsioni di crescita sono state dimezzate all’1,8% e in Russia si teme la stagnazione. Colpa paradossalmente della ripresa economica negli Usa, dove la Fed si prepara a ridurre i flussi di liquidità a basso tasso di interesse che finivano in gran parte nei più remunerativi e promettenti mercati emergenti.

L’accelerazione della crisi siriana rischia ora di intensificare la tempesta sui mercati e i contrasti tra Paesi emergenti e Paesi occidentali.

– L’economia globale resta ancora in zona rischio, la ripresa c’è ma è lenta e il suo ritmo non è in grado di livellare gli squilibri globali – ha ammonito Putin nei giorni scorsi.

In ogni caso il leader del Cremlino conta di incassare alcuni risultati, dopo che la presidenza russa è riuscita a imporre la crescita e l’aumento dell’occupazione come ”priorità a breve termine”, anteponendola al rigore di bilancio. L’obiettivo più importante e concreto dovrebbe essere centrato in campo fiscale, nella lotta all’evasione e ai paradisi fiscali, facilitando lo scambio automatico dei dati tra i vari Paesi.

E’ prevista poi l’adozione del piano elaborato dall’Ocse contro l’erosione della base imponibile e lo spostamento (geografico, ndr) del profitto da parte delle multinazionali, con una ”evasione” calcolata dall’ ong Oxfam di 100-160 miliardi di euro l’anno ai danni dei Paesi in via di sviluppo. Un piano che, secondo Putin, ”è il passo più consistente verso la modernizzazione e il coordinamento della politiche fiscali dei nostri Paesi in centinaia di anni”.

Annunciata inoltre una roadmap per investimenti a lungo termine. Al centro dell’attenzione anche la regolazione del mercato finanziario, compreso lo ‘shadow banking’, ma non sono attese svolte. Il problema della riduzione dei debiti pubblici è invece passato ormai in secondo piano, come obiettivo di ”medio termine”. Stallo infine sulla riforma del Fondo monetario internazionale, fortemente sostenuta da Russia e Cina ma bloccata dalla mancata approvazione del Congresso Usa.