G20, giro vite contro multinazionali e paradisi fiscali

SAN PIETROBURGO. – E’ la lotta all’evasione fiscale e all’elusione delle multinazionali una delle sfide centrali del G20 di San Pietroburgo, che si apre oggi. C’è grande attesa per quella che potrebbe essere la prima dichiarazione di guerra ai paradisi fiscali, dove nei soli due giorni di summit si involeranno 1,7 miliardi di euro: una somma ”sufficiente a finanziare metà del bilancio nazionale del Senegal o 17 attaccanti del Real Madrid, a scelta”, come ha denunciato l’ong Oxfam (Oxford Commitee for Famine Relief). Proprio ieri l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha sollecitato i leader del G20 a dare un ”segnale forte” contro l’evasione fiscale, sottolineando che occasioni come queste si presentano ”una volta al secolo”. L’obiettivo è’ quello di imporre lo scambio automatico dei dati fiscali tra i vari Paesi, ad esempio sul modello Usa, e di adottare un piano – già elaborato dall’Ocse – contro l’erosione della base imponibile e lo spostamento (geografico, ndr) del profitto da parte di multinazionali come Google, con una ”evasione” calcolata da Oxfam in 100-160 miliardi di euro l’anno ai danni dei Paesi in via di sviluppo. Un piano che, secondo il presidente russo Vladimir Putin, ”rappresenta il passo più consistente verso l’ammodernamento e il coordinamento della politiche fiscali dei nostri Paesi in centinaia di anni”. Ma il programma del G20 è molto ampio e comprende diversi temi, concentrati principalmente sull’economia. Le priorità della presidenza russa, almeno sulla carta, sono la crescita, l’aumento dell’occupazione e più in generale una riforma del sistema finanziario internazionale. E’ prevista anche una road map per investimenti a lungo termine, in particolare nel settore delle infrastrutture. Sullo sfondo del vertice la crisi dei Paesi emergenti, compresa la Russia, per la prima volta padrona di casa del summit. Mentre la zona euro, uscita in parte dalla recessione, sembra vedere la luce in fondo al tunnel, Paesi come l’India, il Brasile, la Turchia, ma anche la Russia sono alle prese con una frenata del Pil e soprattutto con una caduta della loro moneta nazionale. Colpa paradossalmente della ripresa economica negli Usa, dove la Fed si prepara a ridurre i flussi di liquidità a basso tasso di interesse che finivano in gran parte nei più remunerativi e promettenti mercati emergenti. Occhi puntati infine anche sul Giappone: l’Europa non vuole che siano adottate misure per ridurre il valore dello yen, aumentando così la competitività dell’export del Sol Levante.

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