A Roma la mostra ‘Le nostre radici’, per capire le origini del Venezuela

ROMA – E’ in corso a Roma, presso l’Istituto Cervantes di Piazza Navona, la mostra fotografica ‘Le nostre radici’, dei fotografi venezuelani Audio Cepeda, Aaron Sosa, Bárbara Muñoz  e Norman Prieto.

Sarà possibile visitare l’esposizione fino al 13 ottobre, quando la mostra si sposterà a Genova, a Casa America. Sarà poi la volta di Napoli e di altre città italiane, per varcare infine i confini del nostro paese e fare il giro dell’Europa.

– L’idea – come ci spiega l’Ambasciatore venezuelano a Roma, Julián Isaías Rodríguez Díaz, presente all’inaugurazione tenutasi giovedì scorso – è nata insieme all’istituto italo-latinoamericano, in collaborazione con l’istituto Cervantes, per trasmettere in Europa la dimensione più genuina e autoctona del Venezuela, quella delle popolazioni indigene; molte delle quali sono presenti nel nostro territorio già prima del 1492.

La mostra, composta da 60 fotografie, narra i volti e i costumi di quattro etnie – che rappresentano il 61% della popolazione indigena – delle 23 presenti in Venezuela. Vivono tutt’ora  pressoché negli stessi territori, grazie anche ai diritti riconosciutigli dalle numerose leggi che il governo ha emanato in loro difesa, e dalla Costituzione, che salvaguardia la loro identità.

– Nel 1999 – continua l’Ambasciatore –  sono stati garantiti moltissimi diritti: le loro tradizioni culturali sono preservate e grazie alla “Ley de trabajo” le terre che queste popolazioni coltivano e occupano non possono essere espropriate. Secondo la Costituzione, ogni etnia deve avere almeno un delegato nel parlamento venezuelano.

Parliamo dell’etnia Wayuu, popolazione precolombiana, la prima delle quattro immortalate in questa rassegna. Vivono nella regione della Guajira, sono circa 300 mila e “pescano gli azzurri e i verdi del mare”, secondo i versi di Juliàn Isaìas Rodrìguez impressi nelle pareti della sala, a introduzione delle immagini a loro  dedicate. Gli Wayuu sono immortalati nei volti dei bambini che guardano al futuro, nei particolari delle mani che tessono gli utensili,  e nelle reti dei pescatori.

Seguono gli Yukpas del territorio della Serrania de Perija. I “loro antenati costituiscono un mare che non so chi decise di chiamar Mar dei Caraibi”. E i Mamà shuta “che portano addosso tutti gli anni delle nostre etnie”. Infine gli Añu, il quarto gruppo etnico più grande del Venezuela. La parola significa ‘gente dell’acqua’, discendono dagli indigeni con cui Alonso de Ojeda e Amerigo Vespucci entrarono in contatto quando giunsero al lago di Maracaibo nel 1499.

I quattro autori venezuelani, ognuno dei quali appartenente alle etnie indigene illustrate all’interno della esposizione, hanno  mostrato non solo come oggi vivono le loro famiglie, ma indirettamente anche chi come loro, continuano a rappresentare una fusione con la contemporaneità e il mondo moderno.  Un punto di vista – quello dei fotografi – naturalmente artistico e documentaristico,  ma al tempo stesso intimo. Un’idea, quella dell’ambasciata della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Roma, per superare una visione eurocentrica e ricordare profondamente il 12 ottobre.

 

Ambasciatore Mumdaraìn Hernàndez:
“Ottimi i rapporti con la Santa Sede”
ROMA- Anche il neo ambasciatore venezuelano presso la Santa sede, José Mumdaraìn Hernàndez,  arrivato da soli dieci giorni  a  Città del Vaticano, era presente all’inaugurazione della mostra fotografica ‘Le nostre radici’. Ne abbiamo approfittato per fargli qualche domanda sui rapporti tra il Venezuela e Papa Francisco I.

“I rapporti sono molto buoni, il fatto di essere latinoamericano,appartenente all’ordine religioso dei Gesuiti che tradizionalmente fanno della semplicità e dell’austerità il loro punto di forza, ci avvicina. Inoltre il Governo venezuelano ha visto molto positivamente sia l’elezione nonché i primi gesti che hanno contraddistinto sin da subito il suo papato, come l’incontro con gli immigrati a Lampedusa. Un atto importante come l’aver scelto l’America latina, in particolare il Brasile, come luogo di incontro per la Giornata mondiale per la Gioventù, che ci ha reso felici. Ma ancor più significativa è stata la presa di posizione del Papa sulla questione siriana, e l’aver convertito Piazza San Pietro nel centro della pace mondiale, aldilà delle appartenenze religiose e politiche. Grazie a lui la Chiesa sta vivendo un momento di rinnovamento e di modernità, di cui si sentiva il bisogno”.

Laura Polverari

 

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