Letta al Colle: “Avanti, non mi faccio logorare”

ROMA  – Sono determinato ad andare avanti, a mantenere le promesse e a realizzare il programma su cui ho incassato la fiducia del Parlamento. Per questo ho dovuto ribadire che non intendo farmi logorare o paralizzare dai veti incrociati e dai continui ultimatum. Enrico Letta, nello studio di Giorgio Napolitano, spiega il senso delle sue ultime dichiarazioni. Quel “non ho scritto Jo Condor in testa”, che significa avvertire Berlusconi che il suo bluff sulla crisi non attacca più; quel “basta ricatti e minacce”, per spiegare che gli avvertimenti di Brunetta non fanno altro che complicare le cose; quel “passerò all’attacco”, per dire a quanti nel Pd temono per il governo “la stessa fine dell’Esecutivo Monti” che così non sarà perché al governo lui resterà solo se potrà continuare a lavorare. Parole che il capo dello Stato ascolta con la massima attenzione. Vi coglie la volontà di andare avanti, con forza e determinazione; e non la rassegnazione di chi è tentato di gettare la spugna per il rischio di appannare la sua immagine.

Per questo condivide le parole di Letta e, per certi versi, le fa sue. Ho trovato un “Letta d’attacco”, riferirà poi ai suoi collaboratori il presidente della Repubblica, spiegando che il capo del governo non ha nessuna intenzione di arrendersi, è concentrato sui provvedimenti da varare e non è distratto dalle “fastidiose” chiacchiere di alcuni protagonisti politici. Napolitano, dunque, vede in Letta la volontà di spazzare via le resistenze, e solo se queste dovessero diventare insuperabili, paralizzando l’Esecutivo, di chiamare l’ultimo giro.

Ma nell’analisi svolta al Quirinale, questo scenario appare (al momento) improbabile. Ed é un bene, visto il quadro macroeconomico che Letta descrive minutamente al capo dello Stato. I numeri del Def, con quello sforamento del tetto del 3%, preoccupano. Ma il premier, riprendendo le parole di Saccomanni, assicura che non serviranno manovre straordinarie, ma semplici aggiustamenti. Serve però un miliardo e mezzo, da trovare entro quest’anno. Risorse che si aggiungono a quelle necessarie per cancellare la seconda rata dell’Imu, per rifinanziare le missioni all’estero, per pagare la cassa integrazione.

I numeri non mentono. I soldi per impedire l’aumento dell’Iva – chiesto a gran voce dal Pdl, ma anche dal Pd – al momento, dunque, non ci sono. Letta, però, tranquillizza il presidente della Repubblica. Gli racconta della reazione dei ministri al termine della relazione del ministro dell’Economia in Cdm, quando prendendo la parola ha svolto la sua sintesi: il quadro è questo e ora abbiamo due strade, scontrarci e lanciare ultimatum, oppure trovare le soluzioni migliori per tutti, ha detto il premier. Chi c’era racconta che Alfano ha abbassato gli occhi sul telefonino; Quagliariello ha ripreso a leggere i documenti che aveva davanti. Lupi idem. Nessuno ha replicato, nessuno ha ribattuto.

– Nel Cdm ho visto una partecipazione corale e un impegno che mi conforta – riferirà poco dopo lo stesso capo del governo in conferenza stampa. Tutti, sia nel Pdl che nel Pd, sanno perfettamente come stanno le cose. Che i margini di manovra per impedire l’aumento dell’Iva sono estremamente limitati. Letta ne ha parlato con Alfano, Lupi, Quagliariello. Anche con Renato Brunetta, qualche giorno fa a palazzo Chigi. Forse per questo, nel governo, gli ultimatum del capogruppo pidiellino vengono presi con le molle. Il premier però sa anche che l’economia rischia di produrre nuove tensioni. Ecco perché, sia pubblicamente che informalmente, rassicura il centrodestra – smentendo Fassina – sul fatto che non intende violare l’impegno assunto sull’Imu: la prima rata l’abbiamo abolita e a ottobre, insieme alla legge di stabilità, elimineremo anche la seconda tranche. Stessa attenzione la rivolge al Pd, confermando l’intenzione di non farsi logorare. Una riposta a Guglielmo Epifani e al suo riferimento agli ultimi mesi del governo Monti. No, assicura Letta, io non sarò protagonista di quel film.