Anna Magnani, 40 anni dopo resta icona di modernità

ROMA. – Anna Magnani: un pianeta. Sono passati 40 anni dalla sua morte (il 26 settembre 1973), definirla è sempre stato impossibile. E’ una delle rarissime personalità italiane ad avere la stella sulla Walk of Fame di Hollywood; è la prima attrice italiana ad aver vinto l’Oscar; a lei si sono ispirati cantautori pop da Pino Daniele a Adriano Celentano; un cratere di Venere porta il suo nome e Jury Gagarin a bordo della navicella Vostok il 12 aprile 1961 disse “Saluto la fraternità degli uomini, il mondo delle arti e Anna Magnani”. Tra i suoi più grandi estimatori c’erano George Cukor, Sidney Lumet, Tennessee Williams e Jean Renoir; lavorò con Alessandrini, De Sica, Rossellini, Visconti, Pasolini e affidò a Federico Fellini (quando era già gravemente malata) la sua ultima apparizione, chiudendo simbolicamente la porta della sua casa sulla cinepresa dell’amico complice che le dedicava “Roma”. Della città eterna era del resto simbolo già da “Mamma Roma” di Pier Paolo Pasolini (1962), ma a quella data Nannarella era ormai un’icona, fin dal film che le fece fare il giro del mondo esplodendo come una bomba nell’Italia del 1945: “Roma, città aperta” di Roberto Rossellini. Il suo drammatico personaggio (Sora Pina) era ispirato alla vera Teresa Gullace che della resistenza romana al nazifascismo fu subito simbolo e costituì il suo autentico debutto come attrice drammatica. Rossellini per il suo film-verità non aveva scelto attori presi dalla strada bensì due vere star come Magnani e Fabrizi, due interpreti popolarissimi grazie alle loro commedie. Ed è in questi ruoli più leggeri ed eleganti che Anna Magnani era diventata celebre. Dopo il debutto con “La cieca di Sorrento” di Nunzio Malasomma nel 1934, era stata l’elegante Fanny di “Cavalleria” (diretto nel 1936 da Marcello Alessandrini che l’aveva appena sposata) e la sciantosa “Teresa Venerdì” di uno spensierato Vittorio De Sica (1941), la fioraia di “Capo de’fiori” (Mario Bonnard) e la popolana di “L’ultima carrozzella” (Mario Mattoli), entrambi del 1943. Il primo a credere in lei come attrice drammatica, come si sa, fu Luchino Visconti che nel ’41 l’aveva scelta per “Ossessione”: Anna era però incinta di Luca, figlio naturale di Massimo Serato, e dovette rinunciare anche per la depressione dopo l’abbandono del compagno. Tanto la sua vita artistica fu infatti splendente, tanto quella personale risultò tormentata. “La maggior parte degli uomini sono ominicchi – disse una volta – e io tendo a innamorarmi veramente solo di quelli che ritengo superiori a me. Anche gli altri ti fanno piangere ma sono lacrime che valgono mezza lira. L’unico che ho sempre considerato davvero è stato il mio primo marito, Marcello Alessandrini, anche se quando stavamo insieme avevo sulla testa più corna di un cesto di lumache”. Il che non le impedì, sul set di “Roma città aperta” di intrecciare una relazione con Roberto Rossellini, un amore tanto grande quanto tempestoso: per ripicca dopo che lui l’aveva lasciata per Ingrid Bergman con cui stava girando “Stromboli”, la Magnani avviò la produzione di “Vulcano” (diretto da William Dieterle nel 1950) come un vero e proprio dispetto. Ma tanti anni dopo, al suo capezzale nella clinica Mater Dei, insieme all’unico figlio Luca, c’è proprio Rossellini. L’aneddotica su Nannarella è talmente importante che ci si perde tra memorie, titoli che hanno fatto la storia del cinema, aneddoti e tributi. La donna che il settimanale Time salutò come “Divina, semplicemente divina” e che sconvolse Hollywood per una recitazione che trasudava verità da ogni gesto, così veniva descritta da Jean Renoir che la diresse ne “La carrozza d’oro”. “E’ la quintessenza dell’Italia, ed anche la personificazione più completa del teatro, del vero teatro con scenari di cartapesta e stracci dorati”. Allo stesso modo la pensava George Cukor che la diresse in “Selvaggio è il vento” e che l’aveva scelta come protagonista de “La ciociara”. Ma Anna non voleva la parte ed il confronto con Sophia Loren (scelta per il ruolo della figlia) sicché il progetto passò di mano. Con 46 film in carriera (più un’apparizione “spuria” nel 1928 (“Scampolo”), un Oscar e una nomination (tutte e due le volte per film in lingua inglese), un Golden Globe, cinque nastri d’argento, appena due David di Donatello, una Coppa Volpi per “L’onorevole Angelina”, orso d’argento come miglior attrice (per “Selvaggio è il vento”) e infiniti riconoscimenti minori, Magnani resta soprattutto un mito: bambina che voleva essere amata (la mamma la lasciò in custodia alla nonna e si rifece una vita ad Alessandria d’Egitto, il padre non la riconobbe mai) e donna assetata d’amore, attrice sublime e prorompente quanto nel privato era fragile e insicura, ha attraversato il suo secolo proprio come una meteora. Oggi avrebbe 105 anni (era nata il 7 marzo 1908) e si spense proprio il giorno in cui la Rai aveva programmato il suo “1870” diretto per la tv da Alfredo Giannetti. In palcoscenico (il primo amore) ebbe maestri come Gandusio, Totò, Paolo Stoppa, i fratelli De Rege; al cinema dovette molto, oltre che a Rossellini, a Luchino Visconti che nel 1951 con “Bellissima” le offrì un ritratto a tutto tondo di femmina e madre mediterranea. Ma alla fine dovette soprattutto moltissimo a se stessa, donna e interprete capace ogni volta di infrangere schemi e convenzioni. Questo fa ancor oggi la sua modernità.  (Giorgio Gosetti/ANSA)