Analisi – Berlusconi ed il valzer della fiducia

«Mettendo insieme le aspettative ed il fatto che l’Italia ha bisogno di un governo che produca riforme istituzionali e strutturali abbiamo deciso, non senza interno travaglio, per il voto di fiducia».

Fiducia sì, fiducia no, fiducia forse. Il valzer di Silvio Berlusconi si conclude con l’ennesimo coup de théâtre ed i 235 voti a favore della squadra di Enrico Letta. I contrari si fermano a 70, mentre 6 senatori del Pdl decidono di sottrarsi al suffragio (Sandro Bondi, Manuela Repetti, Remigio Ceroni, Augusto Minzolini, Alessandra Mussolini e Nitto Palma).

I “mal di pancia” nel centrodestra sono oramai piuttosto datati, ma nel corso del pomeriggio di martedì gli equilibri all’interno del partito erano del tutto saltati. Il fedelissimo Alfano che smentisce pubblicamente il suo mentore, la lite in diretta negli studi di Ballarò tra il moderato Cicchitto ed il direttore de “Il Giornale” Sallusti (giunta sino alla soglia degli insulti), Giovanardi che annuncia la nascita di una nuova formazione ed il clima quantomai caotico a poche ore da un appuntamento decisivo per le sorti del Paese lasciavano presagire un vero e proprio terremoto politico in quello che può già essere definito “ex” Popolo della Libertà.

La mattinata di ieri non ha fatto eccezione in quanto a confusione. Il Cavaliere fermamente determinato ad aprire la crisi fà spazio ad una sua versione più soft e lascia intendere, attraverso un breve commento con i giornalisti, di essere ancora disposto a cambiare idea. «Vediamo che succede. Sentiamo il discorso di Letta e poi decidiamo». Con ogni probabilità un tentativo disperato di evitare una scissione ormai maturata tra le fila dei suoi seguaci.

I dissidenti sono già un gruppo autonomo. C’è chi ne ipotizza il nome: «i Popolari», stando a quanto dichiarato da Roberto Formigoni, in onore al vecchio partito popolare di don Luigi Sturzo.

Il Cavaliere dovrà farsene una ragione e, parallelamente, accettare che la sua leadership di ferro sia parte di un passato che non tornerà. La sua cieca ostinazione ha contribuito sul piano internazionale ad offrire il consueto, triste spettacolo di una fetta purtroppo assai consistente della scena politica italiana.

Valori ed ideali polverizzati da clientele e clientelismo. Dichiarazioni, dietrofront, minacce ed accuse nascondono (piuttosto male) meri interessi di natura personale. Tanto le “colombe”, quanto i “falchi” sembrano preoccuparsi molto del proprio tornaconto e molto poco  dei grattacapi che tengono sotto scacco l’Italia.

Superato lo scoglio del Senato, Letta è atteso dallo stesso copione alla Camera dei Deputati, in seno alla quale il Pd vanta una solida maggioranza e dove, comunque, i voti dei berlusconiani non saranno determinanti.

Restano però i capricci di senilità di un uomo che avrebbe fatto meglio, per sé e per il Paese, a tirarsi fuori dai giochi ormai da molto tempo.

E pensare che un certo Indro Montanelli, con fare quasi profetico ed una lucidità assolutamente fuori dal comune, aveva previsto proprio uno scenario del genere. L’unico giornalista della storia d’Italia ad essersi avvalso della cosiddetta “clausola di coscienza” che, quando la famiglia Berlusconi rilevò la proprietà de “Il Giornale”, decise con grande convinzione ed ammirabile onestà intellettuale di rassegnare le dimissioni ed abbandonare la sua poltrona di Direttore.

La sua stringata analisi, vecchia oramai di un ventennio ed al tempo stesso così aderente alla realtà dei nostri giorni, è disarmante.

«L’Italia di Berlusconi finirà male, malissimo, nella vergogna e nella corruzione. E sarà stato inutile avere ragione.»

 

Romeo Lucci

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