Letta chiede la fiducia e il patto per una nuova maggioranza

ROMA  – “L’Italia corre un rischio che potrebbe essere fatale, sventare questo rischio dipende da noi, dalle scelte che assumeremo, dipende da un sì o un no”. Reduce da una notte in bianco, Enrico Letta chiede al Senato di rinnovargli la fiducia per non mettere a repentaglio la ripresa e per non far sedere nuovamente l’Italia “sul banco degli imputati”. E’ quasi una sfida a Berlusconi, la sua, ad andare fino in fondo:

– Il governo è nato in Parlamento e , se deve morire, deve farlo qui in Parlamento.

Poi, nella replica, quando ormai è chiaro che nelle file del Pdl si è consumata la frattura, il premier certifica che “la maggioranza è cambiata” e che ora ci sono “nuovi numeri”.

– Mi ha portato qui la convinzione che era meglio cadere piuttosto che arrivare a una soluzione di basso profilo – dice.

Non rinuncia a una bordata contro le scomuniche a chi ha deciso di votare la fiducia: la rivolge al M5s, ma si adatta perfettamente anche a Berlusconi:

– Il rispetto della libertà della persona è la base della democrazia. Non ne posso più di sentire lezioni di morale da chi minaccia perché qualcuno ha cambiato idea.

Nel suo discorso Letta spiega che per uscire dalla crisi “serve un vero e proprio nuovo patto di governo” , con al centro il valore della stabilità.

– Il Paese – dice Letta – è stremato dai conflitti di una politica ridotta a continui cannoneggiamenti ma immobile e ripiegata su stessa. Ora basta con la politica di trincea, concentriamoci su ciò che dobbiamo fare.

Non fa sconti, il premier, sulle vicende giudiziarie del leader Pdl:

– Si è creata una situazione insostenibile, i due piani non possono essere sovrapposti. La nostra repubblica si fonda sullo Stato di diritto e in uno Stato di diritto le sentenze si rispettano e si applicano, fermo restando il diritto intangibile alla difesa che è concesso a un parlamentare come a qualsiasi altro cittadino, senza leggi ad personam né contra personam.

Sulla giustizia (altro tema sensibile per Berlusconi) Letta concede una ripresa delle indicazioni del gruppo di saggi che furono insediati da Napolitano nel marzo 2013 prima della formazione del governo. L’appello Letta ai senatori è tutto declinato intorno al valore della stabilità: cita la Germania, “che dal ’92 a oggi ha avuto solo tre cancellieri mentre da noi ci sono stati 14 governi, un altro spread che pesa eccome”. Mandare il governo a casa, dice “significherebbe contrarre l’orizzonte, rinviare le misure per la ripresa e sedersi di nuovo sul banco degli imputati in Europa e nel mondo”. Mandare via il governo, insiste, significherebbe “rinunciare a una riforma delle istituzioni” che non è stata mai così a portata di mano (“12 mesi da oggi”, assicura). Senza dimenticare che “in caso di crisi potremmo scivolare verso elezioni che consegnerebbero il paese a una situazione di ingovernabilità”, per colpa di una legge elettorale che non è in grado di indicare un vincitore.

Ma non è solo la possibilità (e la necessità) di ammodernare la Costituzione e cambiare il Porcellum a sconsigliare la crisi. In cima ai pensieri di Letta c’è la ripresa economica da agganciare e il semestre europeo a guida italiana da onorare.

– L’Italia è ora avviata a una graduale ripresa, abbiamo alle spalle un incubo, abbiamo perso otto punti di Pil e un milione di posti di lavoro, ora abbiamo l’obiettivo di una crescita dell’1% nel 2014 e superiore negli anni a venire.

Impegni che Letta si prende promettendo che l’Italia rispetterà i vincoli europei e resterà sotto la soglia del 3% dell’indebitamento. Per farlo punterà alla riduzione della spesa pubblica con un piano che verrà affidato al nuovo commissario per la spending review Carlo Cottarelli, dirigente del Fondo monetario internazionale. Letta promette un calo delle tasse: in primo luogo quelle sul lavoro “sia dal lato delle imprese sia su quello dei lavoratori”. Sull’aumento dell’Iva (casus belli scelto da Berlusconi per far dimettere i ministri) non si pronuncia: dice solo che procederà a una “revisione complessiva delle aliquote”. Un accenno, un po’ di sfuggita, anche sull’Imu, quando dice che sarà “confermata la rotta” fin qui seguita. Poi elenca i provvedimenti presi nei suoi cinque mesi di guida del governo per far ripartire l’economia. E dice ai suoi critici, interni ed esterni:

– Siamo stati tutt’altro che il governo del rinvio.

Per convincere i dubbiosi Letta gioca poi la carta europea:

– Nel 2014 l’Italia assumerà la presidenza dell’unione Europea. La prossima voltà sarà tra 15 anni. Non possiamo permetterci di far tacere o mancare la voce dell’Italia.

Con un avvertimento:

– Non possiamo avere un’influenza in Europa senza credibilità.

A sigillo finale del suo discorso, le parole di Benedetto Croce alla costituente: quelle con cui il filosofo liberale, l’11 marzo del 1947, ammonì i costituenti a non prepararsi , “con un voto poco meditato” a “un pungente e vergognoso rimorso

Psicodramma Parlamento: tra lacrime, insulti e liti
Lacrime, insulti, liti, contestazioni, colpi di scena. Sandro Bondi che non segue le indicazioni di voto di Silvio Berlusconi. Fabrizio Cicchitto e Guglielmo Epifani che ridono e scherzano insieme alla buvette. Domenico Scilipoti che inveisce contro i ‘traditori’ del Pdl. La giornata campale della fiducia al Governo Letta assume in Parlamento i toni dello psicodramma, terremotando certezze in un clima surreale.

Che si tratti di una giornata storica lo indicano i numeri dei media accorsi al Senato: oltre 40 testate televisive nazionali e 15 estere, 22 fotografi, 193 giornalisti accreditati (oltre alla stampa parlamentare). E lo ‘spettacolo’ non delude le aspettative. Gli occhi di tutti puntano i senatori del centrodestra. Quanti voteranno per la fiducia a Letta? Si fanno e si rifanno i conti, si scambiano di mano foglietti. Trattative durate tutta la notte proseguono nelle stanze di Palazzo Madama. Amicizie di una vita si sfaldano tra sospetti e accuse. Un foglietto stampato nelle mani di Roberto Formigoni conta una ventina di senatori Pdl pronti a dire sì alla fiducia e a formare un nuovo gruppo parlamentare. L’unico nome scritto a penna – e in seguito cancellato – è quello di Scilipoti, indimenticato ‘responsabile’.

– Era scritto con l’inchiostro simpatico – ironizza Formigoni.

Attenzione calamitata anche dai cinque ministri pidiellini. Prima che prenda la parola Letta si scorge Nunzia De Girolamo in lacrime. Sul volto di Angelino Alfano si disegna tutta la stanchezza di notti insonni, passate con l’incubo di ‘dover tradire il padre’. Da parte sua Letta mantiene il suo aplomb in una mattinata vissuta sul filo della tensione fino al colpo di scena finale: il doppio salto carpiato con il quale Berlusconi va in Aula e annuncia la fiducia un’ora e mezza dopo aver deciso la sfiducia. A quel punto, il premier, sorpreso, non può trattenersi dal dire tra sè e sè: “è un grande”.

Berlusconi, dopo il suo discorso, si allontana dal Senato scuro in volto e all’uscita dal palazzo viene investito da fischi e urla di un centinaio di persone assiepate dietro le transenne. “Vai via, vai via”, si sente gridare mentre l’ex premier si infila in macchina.

Molto attivi Scilipoti e Antonio Razzi. Quest’ultimo ha le idee molto chiare. Alle domanda su come voterà risponde candido: “il mio cartellino è di Berlusconi, sono con Berlusconi e faccio quello che dice Berlusconi”. Scilipoti, nella riunione del gruppo, interviene duramente contro i dissidenti del Pdl, mentre in Aula interrompe Letta inveendo pesantemente contro il Governo, tanto da attirarsi la censura del presidente del Senato, Pietro Grasso: “si è dovuto guadagnare uno spazio nella diretta tv? Ora basta!”.

Versa lacrime anche l’ex grillina Paola De Pin. Dopo aver annunciato il suo voto di fiducia viene subissata dalle invettive dei 5 Stelle e devono intervenire i commessi per proteggerla da un senatore M5S minaccioso. La tensione esplode poi durante l’intervento del capogruppo Pd Luigi Zanda, che attacca Pdl e Sandro Bondi. Quest’ultimo, furioso, replica urlando e poi non si presenta in Aula per la fiducia. Sopra le righe l’intervento di Alessandra Mussolini.

– Io so solo che a Zanda gliel’abbiamo messa in quel posto.

Quanto alla fiducia, commenta la focosa senatrice Pdl, “oggi è nato il governo Letta-Alfini,ma io in Alfini non mi ci riconosco affatto”. Sprezzante anche il leader di Grande Sud, Gianfranco Miccichè, che definisce i 5 ministri Pdl “ominicchi e donnine”. In mezzo al caos di Palazzo Madama si aggirano, con l’aria un po’ smarrita, due senatori a vita, Carlo Rubbia e Elena Cattaneo. Il premio Nobel per la Fisica sparge però ottimismo: “il caos è controllabile, bisogna saperlo fare.