Lampedusa: “Cosí ho visto morire miei compagni”

LAMPEDUSA (AGRIGENTO) – “Quando siamo arrivati in prossimità dell’isola abbiamo deciso di accendere un fuoco, incendiando una coperta, per farci notare. Ma il ponte era sporco di benzina: in pochi attimi il barcone è stato avvolto dalle fiamme: la gente urlava e si lanciava in mare. E’ stata una scena terribile…”. Samuel, uno dei 155 superstiti scampati al naufragio avvenuto davanti alle coste di Lampedusa, balbetta poche parole. Quando sbarca sulla banchina del porto, dopo essere stato tratto in salvo da un peschereccio, è bagnato fradicio ed ancora sotto choc.

Lo avvolgono subito con una coperta termica ma lui continua a tremare, non si capisce se per il freddo o per la paura. E’ un giovane di poco di vent’anni, partito alcuni mesi fa dall’Eritrea con lo speranza di raggiungere l’Europa e un futuro migliore. Ma a poche centinaia di metri dalla costa il sogno si è trasformato in un incubo.

– Ho visto morire centinaia di compagni di viaggio che erano con me – dice ai mediatori culturali che lo assistono e cercano di dargli coraggio mentre ricostruisce quegli attimi terribili.

– Per sfuggire al rogo che noi stessi avevano appiccato – spiega – alcuni si sono lanciati subito in mare mentre altri si sono accalcati in massa dall’altra parte del ponte. La barca ha cominciato a oscillare fino a capovolgersi completamente. Io, che mi ero lanciato in acqua perché so nuotare, ho visto gli altri miei compagni affogare, mentre il barcone, ormai completamente avvolto dalle fiamme, scompariva lentamente tra le onde.

Un altro ragazzo, Abraham, anche lui eritreo, racconta i particolari della traversata.

– Siamo partiti due giorni fa dal porto libico di Misurata. Da tempo eravamo in attesa di imbarcarci, quando ci hanno detto all’improvviso che era giunto il momento. Ci hanno caricato a forza su quel barcone: eravamo in 500, comprese decine di donne e bambini. Abbiamo pagato tra i mille e i 1500 dollari per un biglietto che, per molti di noi, si è trasformato in un viaggio senza ritorno.

Ma il giovane superstite rivela anche un altro particolare destinato a innescare polemiche.

– Durante la traversata tre pescherecci ci hanno visto, ma non ci hanno soccorso – accusa.

– Sicuramente non li hanno notati – assicura il vice premier e ministro dell’Interno Angelino Alfano. Ma il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini, azzarda un’altra ipotesi:

– L’Italia ha normative disumane. Il nostro Paese ha processato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina i pescatori che hanno salvato vite umane. Ecco perché alcuni non si fermano.

Di sicuro i primi a prestare soccorso ai naufraghi, davanti all’isola dei Conigli, sono stati proprio alcuni pescatori di Lampedusa con le loro barche. Lo sottolineano con gratitudine anche gli altri sopravvissuti che, insieme a Samuel e Abraham, vengono trasferiti nel Centro di prima accoglienza. E quando ormai tra i capannoni di contrada Imbriacola sta calando la sera nello spiazzo del Centro si radunano tutti, anche gli altri profughi approdati in precedenza sull’isola. Una sorta di preghiera collettiva in ricordo delle vittime di questa ennesima strage dell’immigrazione. Cattolici e musulmani, etiopi ed eritrei, somali e siriani. Tanti credi, tanti volti, tante storie, uniti dalla stessa tragedia che non sembra avere mai fine

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