Vajont: Napolitano: “Colpe umane non tragica fatalità”

LONGARONE (BELLUNO – Adagiata sul greto del Piave, a cento chilometri di distanza da Longarone: lì, a Fossalta di Piave, il 10 ottobre 1963 avevano trovato quella Madonna con le mani strappate dall’acqua dell’onda del Vajont che alle 22.39 della sera prima, il 9, aveva spazzato via la chiesa assieme a sette paesi e provocato 1910 morti. Davanti a quella Madonna deturpata, il presidente del Senato Pietro Grasso si è fermato a lungo. ‘

– E’ il simbolo – ha detto – che in sé conserva l’idea e l’immagine del dolore.

La statua è il segno, come altri nella memoria popolare, di una tragedia, di ”un mondo che scompare in una notte”, non solo per colpa della natura. Quella del Vajont è una ”ferita ancora aperta” che a gran voce chiama in causa l’uomo e suonano chiare le parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano:

– Quell’evento non fu una tragica, inevitabile fatalità, ma drammatica conseguenza di precise colpe umane, che vanno denunciate e di cui non possono sottacersi le responsabilità.

Non ci sono ombre nelle parole di Grasso che, da Longarone, nel giorno delle celebrazioni e del ricordo dei 50 anni dal disastro, punta il dito non verso il vicino monte Toc, da dove si staccò la frana che piombò sul bacino artificiale della diga e sollevò l’onda ‘assassina’, ma verso gli interessi governati dall’uomo. ‘

– Questo disastro – dice – si sarebbe evitato se una maggiore considerazione della vita umana avesse prevalso su interessi economici e strategici. Non si possono sottacere le pesanti responsabilità umane che hanno determinato la catastrofe’

Sono le parole di uno Stato che chiede scusa.

– Sono qui oggi – ricorda Grasso – per inchinarmi di fronte alle vittime e ai sopravvissuti. Sono qui per portare le scuse dello Stato. Sono qui per riparare, per sanare, per quanto possibile, quella ferita che da 50 anni separa questo popolo delle istituzioni, convinto che solo con la verità e la giustizia questo processo potrà trovare pieno compimento.

Il presidente del Senato chiede un cambio di prospettiva nella tutela dell’ambiente, spazzando via l’idea che sia un costo aggiuntivo, ”un intralcio alla produzione e alla crescita”. Dalla terra martoriata di Puglia, che conta i suoi morti per il maltempo, arriva intanto il grido del presidente dell’Ordine dei geologi pugliesi, Salvatore Valletta:

– A giudicare dallo stato del territorio italiano la tragedia del Vajont non è servita.

”Tragica fatalità” con oggi, però, è una dizione che scompare una volta per tutte dalla storia del Vajont. Di ”tragedia annunciata” parla il governatore veneto Luca Zaia. Ricorda l’appello inascoltato di Tina Merlin – sulla cui figura e sulle cui parole si è soffermato anche Grasso – e dice:

– I vecchi del posto sapevano che la montagna sarebbe venuta giù.

Per il presidente del Friuli Venezia Giulia Deborah Serracchini il cordoglio non basta ”se non si ricorda che quella tragedia non fu un evento naturale, non fu una fatalità, ma un disastro provocato da precise colpe e responsabilità umane”.

Intanto, nel giorno che l’Italia ha eletto – come ha ricordato Napolitano – a ‘Giornata in memoria dei disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo’, le comunità della Valle del Piave – Longarone, Pirago, Maè, Rivalta, Villanova, Faè, Codissago, Castellavazzo – e di Erto e Casso, in terra friulana a monte della diga, sono tornata a piangere ancora una volta i quasi 2.000 morti di 50 anni fa. Lacrime che hanno la forza di non dimenticare gli altri drammi e il sindaco Roberto Padrin invita tutti a un minuto di silenzio per le vittime del naufragio a Lampedusa.

Il vescovo di Concordia-Pordenone, Giuseppe Pellegrini, nel corso della messa concelebrata nel cimitero monumentale, tuona sulla frana ”antropologica e sociale” che oggi si abbatte sull’umanità. Alle 22.39, ora del disastro, il semplice suono di una campana avvolge il silenzio di una comunità e riassume più di ogni altra cosa il senso di un dolore che non sa trovare pace.

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