Antonio Cincotta. L’esportatore del Calcio Femminile

In un calcio che ogni anno diventa sempre più controllato dai sceicchi – che non son mica scemi ricchi – il marchio Italiano perde sempre più appealing.

Diversi sono le componenti che hanno diminuito la popolarità della Serie A negli ultimi anni. Come per esempio, Il nostro debole potere mediatico in confronto con gli altri stati; la crisi economica che investe il Bel Paese; l’eccessivo numero di scandali e polemiche; e la precarietà dei nostri stadi.

A dispetto di tutto ciò, la panchina “made in Italy” sembra non andar mai fuori moda. Non è una sorpresa che la nostra grande scuola di allenatori sia invidiata in tutto il mondo, poichè da sempre fornisce personaggi che dimostrano di avere un livello superiore alla media.

Affidare una panchina ad un allenatore Italiano significa avere un vantaggio sulle altre squadre, grazie al loro modo di intuire sempre la soluzione vincente in qualsiasi situazione la propria squadra si trovi.

Quando si parla di esportare allenatori, ovviamente si pensa soltanto a nomi illustri del calcio maschile: Roberto Mancini, Carlo Ancelotti, Luciano Spalletti, Claudio Ranieri sono solo alcuni dei tanti protagonisti che tengono alto il nome dell’Italia in panchine estere.

Per trovare una novità in questo campo, ci si deve andare fino a Seattle, Washington, dove un anno fa è stata fondata l’AC Seattle, una squadra puramente italiana che compete nella Women’s Premier Soccer League, ovvero il campionato equivalente alla Serie B femminile statunitense.

Per dare vita a questa squadra, i dirigenti dell’AC Seattle hanno fatto caccia in Italia: sia giocatori che staff tecnico sono stati contattati e ingaggiati dentro i confini peninsulari.

Il mister, appunto. Antonio Cincotta, un giovane allenatore che, in pochi anni di esperienza, ha già vinto numerosi titoli. Conosciuto come il “TikiTaka” delle donne, Cincotta riesce sempre a plasmare rapidamente i suoi metodi in tutte le squadre in cui allena.

Grazie alla sua abilità di abbinare un bel gioco con vittorie, il palmarès di Cincotta è anche ricco di titoli individuali, tra cui la “Panchina d’argento” quale miglior allenatore di calcio femminile dato dalla FIGC, nonchè il riconoscimento come “Best Coach 2012” nei Golden Girls Italiani. Entrambi questi due premi sono arrivati dopo l’avventura da record alla guida dell A.S.D. Fiammamonza nel 2012, vincendo la Serie A2 raggiungendo quota 67 punti.

Nel 2013, poichè diventato l’allenatore giovane di maggior successo nella storia del calcio femminile italiano, arriva la chiamata dall’ AC Seattle.

Per Cincotta era il momento di provare nuove esperienze e porsi nuove sfide professionali. La nuova squadra italiana nata dall’altra parte del mondo diventò il suo sogno americano.

Un opportunità che l’allenatore milanese colse rapidamente portandolo a vincere un altro prestigioso titolo: la WPSL Northwest Conference, ovvero il girone del Nord Ovest americano.

Nonostante le similitudini con i grandi allenatori del calcio maschile, che dopo aver vinto in Italia emigrano – con successo – in campionati esteri, Cincotta non ne vuol sentir parlare di paragoni del genere.

“Assolutamente no. Io sono un giovane allenatore che desidera crescere e sa di dover imparare da chiunque”, risponde umilmente Cincotta ai possibili accostamenti con i vari Capello, Lippi e Trapattoni.

A dire il vero, l’unica differenza tra Cincotta e i suoi colleghi del calcio maschile è il fatto che quello femminile ha meno potere mediatico. Del resto, il paragone ci sta tutto, visto che anche lui è entrato a far parte della grande scuola di allenatori italiani che esportano insegnamenti e successi in altri paesi.

Impresa, questa, che gli ha permesso di diventare un personaggio di notevole spicco nella comunità italiana di Seattle già al primo anno di lavoro.

Peraltro, questa avventura vincente è stata maturata in un percorso dal quale Cincotta ha anche imparato tanto, sia a livello umano e sportivo.

Come lui stesso ammette.

Finita la prima stagione in America, cosa a livello umano ti ha segnato di piu da questa esperienza?

Penso che la cordialità e la disponibilità degli Statunitensi resterà sempre una sorta di modello umano al quale ispirarmi”.

Cosa della cultura sportiva italiana puo servire al calcio Americano per crescere?

“L’america è cresciuta già tanto, certo che la tradizione tattica della scuola italiana potrebbe far fare un ulteriore prezioso salto di qualità al calcio a stelle e striscie”.

Cosa prenderesti invece dalla cultura sportiva americana per portare in Italia?

“La preparazione fisica, le squadre americane impongono dei ritmi quasi ossessivi alle gare, e possono permettersi queste performance, attraverso anni di specializzazione sportiva, specializzazione che accompagna la crescita dei ragazzi parallelamente a quella scolastica”.

Il calcio femminile americano è forse primo al mondo. Cosa esattamente manca all’Italia per diventare una realtà più forte in questo campo?

“Mancano soprattutto fondi. Le società riescono a vivere con enormi sforzi, le sponsorizzazioni sono in calo, per via della crisi che sta affliggendo il nostro paese, e lo sport ne paga le ovvie conseguenze. Con poche risorse è difficile permettersi di fare un verosalto di qualità”.

Come ci vedono in America? Che percezioni hai avuto dalle altre squadre nei nostri confronti?

“Le altre squadre ci temevano molto, poichè avevamo una rosa nutrita di eccellenti giocatrici provenienti dall’Italia, nonchè di altrattanto brave americane, ed è grazie a queste campionesse che abbiamo vinto la coppa dello stato di Washington, nonchè il campionato”.

Dopo aver lavorato nel calcio maschile, ora sei riconosciuto come the “women tiky taka”, c’è qualcosa del calcio femminile che il calcio mashile possa adottare per trarne benefici?

“Le donne sono più concentrate e disponibili all’apprendimento, un pò come a scuola, noi maschietti spesso facciamo più confusione”.

Riccardo Di Julio

 

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