Prossimo appuntamento: voto decadenza Berlusconi

ROMA. – Confermata la fiducia in Anna Maria Cancellieri, la maggioranza delle larghe intese guarda già all’appuntamento chiave del suo futuro: la votazione sulla decadenza di Silvio Berlusconi che i capigruppo del Senato hanno fissato per il 27 novembre. Il caso Cancellieri, il cui esito era scontato dopo la fiducia rinnovata da Enrico Letta al Guardasigilli, ha tuttavia dimostrato che il partito della crisi non ha deposto le armi: il Pd ha rinnovato l’appoggio al ministro della Giustizia pur giudicando inopportuno il suo comportamento nella vicenda Ligresti (un modo per coprirsi contro le critiche piovute da sinistra sul doppiopesismo della Cancellieri), il Pdl l’ha invece difesa con veemenza ritenendola vittima del clima di giustizialismo che inquina il Paese. Distanza di posizioni che la dice lunga sulle difficoltà di tenere unita una coalizione così eterogenea. Sulle posizioni di destra e sinistra pesano gli appuntamenti imminenti, la votazione dei senatori ma anche il congresso del Pd. E, secondo il democratico Beppe Fioroni, Berlusconi e Renzi li attendono con un obiettivo comune: le elezioni. Certamente la pace per il governo appena annunciata da Angelino Alfano dopo l’incontro ad Arcore con il Cavaliere è sembrata traballare quando un paio d’ore dopo è stata annunciata la data in cui il leader del centrodestra dovrebbe essere costretto ad abbandonare il Parlamento: impossibile far finta di nulla, hanno gridato all’unisono i falchi. Nella loro intransigenza si legge la volontà di non consentire all’ex delfino di prendere le redini di Forza Italia ma anche una contraddizione: Berlusconi decadrà comunque dal seggio di senatore quando la Cassazione si esprimerà in via definitiva sull’interdizione dai pubblici uffici. Questione di settimane, non di mesi. Dunque il fuoco di sbarramento sembra giustificato da altri obiettivi: rivedere la legge di stabilità su casa e cuneo fiscale (per dare un risultato al proprio elettorato) e individuare in qualche modo i ”colpevoli” della defenestrazione del leader e del pesante clima politico. In tal senso, Berlusconi sembra implicitamente addossare a Giorgio Napolitano parte delle responsabilità quando dice che il capo dello Stato avrebbe ancora tempo per concedergli la grazia motu proprio. Il Cavaliere non può ignorare, alla luce della nota del Quirinale di agosto, che questa è ritenuta dal presidente della Repubblica una strada impraticabile. Eppure torna a parlarne, escludendo evidentemente di poter chiedere di persona la clemenza (perché ciò significherebbe accettare la sentenza di condanna e riconoscere la colpa). E’ lungo questo tortuoso binario che si rischia il corto circuito istituzionale, anche perché i lealisti – come fa sapere Gianfranco Rotondi – non accettano che il loro leader sia cacciato dal Parlamento. Con inevitabili conseguenze su partito e governo. E’ vero che finora Alfano si è dimostrato sicuro del fatto suo. Ma una divisione in due del fronte dei berlusconiani, proprio in coincidenza della caduta del Cavaliere, non lo aiuterebbe a ridisegnare i contorni di una forza che si candida a guidare l’area moderata all’ombra del Ppe; su di lui pioverebbero accuse di tradimento e di parricidio. Già adesso gli oltranzisti sospettano che abbia lanciato la proposta delle primarie solo per delegittimare la leadership del capo carismatico. Ma è difficile anche spiegare l’interesse del Cavaliere a rinchiudersi in un bunker senza vie d’uscita con il suo movimento spezzato a metà. L’impressione è che tutto sia ancora in ballo, i colpi di coda sempre possibili. Ciò spiega il tentativo di Alfano di prendere tempo e di scongiurare una convocazione anticipata del Consiglio nazionale. Forse la transizione potrebbe essere più facile se il clima precongressuale nel Pd fosse più mite. Invece, attorno al tesseramento gonfiato si è scatenata una furiosa battaglia per le cariche interne di partito, ultima posta in gioco dal momento che i sondaggi assegnano a Matteo Renzi un vantaggio incolmabile alle primarie su Gianni Cuperlo. Non è un’immagine positiva per un partito che si candida ad essere il nuovo della politica italiana: non a caso il sindaco rottamatore cerca in rete suggerimenti sul come riformarne linea e basi. Ma il vero interrogativo resta il rapporto tra Pd e governo: Pierluigi Bersani ha ribadito che a suo parere l’esecutivo Letta non è in grado di far ripartire il Paese, l’unica svolta radicale sarebbe stato l’accordo con i grillini. Una prospettiva lontana sia dal premier che dal sindaco di Firenze che restituisce la foto di un Pd frammentato e non in grado in questo momento di essere elemento di stabilità.

(di Pierfrancesco Frerè/ANSA)

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