La Nostalgia del Catenaccio

Albano e Romina avevano ragione, la nostalgia è proprio canaglia. In questi duri tempi del calcio Italiano, la nostalgia prende migliaia di tifosi ogni giorno che sono costretti a dover rivedere su Youtube i grandi momenti del passato per poter strapparsi qualche sorriso sulle labbra ricordando le grandi prodezze dei loro vecchi idoli.

In un calcio dominato dalla Spagna, dove si pensa, erroneamente, che l’unico modo giusto per giocare sia basato sul possesso palla, il catenaccio sembra non mancare per niente alle tifoserie di tutto il mondo.

E invece, questo benedetto sistema difensivo manca, eccome.

Certamente, agli occhi di chi non sa difendere, il catenaccio è soltanto un brutto modulo, creato per distruggere il gioco più bello del mondo. Però, senza ombra di dubbio, il catenaccio è molto più significativo di questo.

Innanzitutto, invoca momenti indimenticaili che hanno segnato la storia del calcio mondiale. Per noi Italiani, inoltre, molti di questi momenti sono stati vissuti da protagonisti facendoci diventare la seconda nazione calcistica più vincente al mondo, con ben quattro stelle sul petto.

Quando si parla di catenaccio, perciò, non si parla della morte del calcio, ma, invece, di gesta eroiche che vanno al di là di semplici moduli tattici.

Quando si parla di catenaccio, si da vita al preziosissimo concetto italiano che definisce il difendere come un’arte che solo in pochi sanno fare.

Quando si parla di catenaccio, si parla automaticamente di un paese che già prima della seconda guerra mondiale aveva due mondiali in bacheca.

Quando si parla di catenaccio, si parla dello storico Italia 3-Brasile 2 dei mondiali del 1982, quando gli azzurri, che poi divennero campioni del mondo, sconfissero quella che in molti ancora considerano il Brasile più forte di tutti i tempi, al quale bastava anche il pareggio per eliminare la squadra di Enzo Bearzot. Tre gol di Paolo Rossi e uno – ingiustamente annullato – di Giancarlo Antognoni segnarono gli azzurri per sbattere fuori i brasiliani giocando una partita anchorchè difensiva.

Quando si parla di catenaccio, si parla indubbiamente di Nereo Rocco, il grande pionere italiano del sistema con il quale portò il Milan alle sue prime due Coppe dei Campioni nel 1963 e 1969. Ironicamente, però, il punto di riferimento più importante di quella squadra difensivista non era un difensore, ma bensì un immenso talento offensivo, ovvero Gianni Rivera: un pallone d’oro che la Spagna ci puo soltanto invidiare.

Quando si parla di catenaccio, si parla anche della grande Inter di Helenio Herrera, che, per coincidenza della sorte, conquistò l’Europa per due volte subito dopo il Milan di Rocco. Interpretando il catenaccio proprio come i loro cugini, i nerazzurri entrarono nella storia comandati da altri immortali talenti, come Alessandro Mazzola e Giacinto Facchetti.

 

Quando si parla di catenaccio, si parla di momenti meravigliosi, come quello che vide l’Italia giocare – e vincere – la famosa partita del secolo, ovvero Italia 4- Germania 3 valida per la semifinale mondiale del 1970. Quatrro gol in una semifinale mondiale, tre di questi nei tempi supplementari per fare capire che, anche se gli azzurri volevano difendersi, non scherzavano proprio quando si lanciavano in attacco.

Quando si parla di catenaccio, si parla del cucchiaio di Francesco Totti durante i rigori della seminifinale europea del 2000, contro l’Olanda, che giocando in casa, non riuscì a sconfiggere gli azzurri, nonostante aver goduto di ben due rigori – poi sbagliati – durante la partita ed aver giocato con un uomo in più per quasi tutta la gara per via dell’espulsione di Gianluca Zambrotta. Dopo 120 minuti degni di una difesa leggendaria, di cui anche Alessandro Del Piero ne fece parte guidato dagli spettacolari Maldini, Nesta, e Cannavaro, il giovane Totti si presentò dal dischetto per una beffa che l’esperto portiere Van der Sar se la ricorderà per sempre.

 

Quando si parla di catenaccio, ci si ricorda del grandissimo gol di Fabio Capello contro l’Inghilterra nel 1973: pallone che parte da una rimessa dal fondo dai piedi di Zoff e, con solo 5 tocchi rasoterra, finisce nell’area avversaria nei piedi dell’ex centrocampista che regala all’Italia la sua prima storica vittoria in Inglhiterra nello stadio di Wembley. Gol, questo, arrivato nei minuti finali dopo che gli azzurri si erano eroicamente difesi a dentri stretti contro i leoni inglesi per tutta la partita.

Quando si parla di catenaccio, si parla del vanto di Marcello Lippi di aver avuto a disposizione il miglior portiere della storia, cioè Gianluigi Buffon, e le migliori performance che un difensore possa mai avere da parte di Fabio Cannavaro. Un vanto che gli diede il coraggio di affrontare i tempi supplementari della semifinale mondiale 2006, anche questa contro la Germania padrona di casa, con ben quattro attaccanti, ovvero Del Piero, Totti, Gilardino, e Iaquinta. Come ben tutti sanno, l’esito di quei 30 meravigliosi minuti furono due pali e altrettanti gol.

 

Quando si parla di catenaccio, ci si ricorda del famoso urlo di Tardelli, segno di un’altra storica vittoria sulla Germania in quella notte da leoni a Madrid che ci portò a vincere il terzo mondiale. Per i bambini nati dopo quella notte, questa storica esultanza rappresenta la fiaba più bella da sentire ogni notte prima di dormire.

 

Quando si parla di catenaccio, si parla dell’eroica prestazione di Franco Baresi nella finale mondiale del 1994 contro il Brasile, persa soltanto ai “maledetti” rigori. Dopo aver sofferto un infortunio al menisco nella seconda partita della competizione, Baresi fu costretto ad andare sotto i ferri. Soltanto 24 giorni dopo, scese in campo per la finale e giocò, da capitano, una partita al dir poco perfetta, dove l’unico errore fu il rigore sbagliato.

Quando si parla di catenaccio, si parla dei difensori italiani che emigravano, anche recentemente, in campionati esteri per poi trovarsi a dover insegnare l’arte difensiva ai compagni di squadra. Su tutti, i casi di Cannavaro nel Real Madrid e di Andrea Barzagli nel Wolfsburg, che dovette perfino spiegare i movimenti più semplici ai terzini tedeschi.

Quando si parla di catenaccio, infine, si parla di Gaetano Scirea; di Giuseppe Bergomi; di Tarcisio Burgnich; di Mauro Tassotti; di Alessandro Costacurta; di Antonio Cabrini; e di Gianluca Zambrotta, oltre che dei già menzionati Nesta, Baresi, Cannavaro e Maldini. Tutti loro, poichè veri interpreti di un ruolo che in molti non hanno ancora capito, nulla hanno da invidiare ai nomi illustri dell’attacco che hanno scritto la storia del calcio.

Ed è per tutto questo che, al giorno d’oggi, solo la nostalgia riesce a regalare qualche emozione ai tifosi. Basta considerare gli incredibili errori difensivi che le squadre italiane commettono in campo europeo per capire che il nostro calcio non è più quello di una volta, almeno per ora.

Come è stato dimostrato in una giornata di Champions League di qualche settimana fa, quando la Juventus e il Napoli prendevano gli ennesimi gol causati da distrazioni ingiustificate, ed il Milan continuava la sua ormai recente tradizione di concedere reti in palle aeree su calci piazzati.

Detto tutto questo, sebbene il lavoro di Cesare Prandelli alla guida della nazionale sia stato fin’ora molto positivo e rivoluzionario giacchè basato su un gran stile di gioco, non si puo evitare di sperare di vedere un pò dello spirito catenacciaro nei nostri azzurri per i prossimi mondiali in Brasile.

Poco importa se il resto del mondo lo criticherà, ma il solo pensiero di poter vivere delle notti magiche in Brasile, basate su grandi prestazioni in difesa e a centrocampo, riuscirebbe di nuovo a far sognare milioni di tifosi in tutta l’Italia.

In fin dei conti, anche se in molti pensano che il catenaccio non sia bello da vedere, l’importante è che, al di là dei successi, questo approccio è da sempre riuscito a regalare momenti indimenticabili a tutto il paese. Momenti senza dei quali il calcio non avrebbe alcun senso.

Anche se non fu creato in Italia, il catenaccio è un nostro marchio di fabbrica a tutti gli effetti. Più che un semplice sistema difensivo, rappresenta un modo unico di vivere ed interpretare non solo il calcio ma anche la vita. Inoltre, basta soltanto pronunciare la parola stessa per rivivere una storia leggendaria lunga quanto una vita, a differenza del Tiki-Taka che visse il suo primo momento di gloria appena nel 2008.

Riccardo Di Julio

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