Un terremoto al giorno non aiuta a difendere la credibilità dell’Italia

ROMA. – La bocciatura della legge di stabilità da parte della commissione Ue, dietro alla quale secondo alcuni si affaccia lo spettro del commissariamento da parte della troika, dimostra che la politica italiana sta scherzando con il fuoco. Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni hanno reagito spiegando che Bruxelles non ha tenuto conto della spending review e delle imminenti privatizzazioni. Il premier si è spinto per la prima volta ad avvertire la Germania che di questo passo avrà il deserto intorno: è il troppo rigore a soffocare la crescita. Ma è chiaro che le ragioni della bocciatura sono molto più politiche che tecniche: come ha fatto capire il commissario agli Affari economici Olli Rehn, l’instabilità italiana non consente di avere fiducia in un percorso di riforme che richiede invece la massima compattezza politica. Del resto lo ha ammesso anche il premier: un terremoto al giorno non aiuta a difendere la nostra credibilità. Che cosa dovrebbero pensare i partner europei di un governo che si regge su tre gambe traballanti e che viene messo continuamente sotto tiro per minarne le basi, come dimostra la vicenda Cancellieri? Le somme sono presto fatte: Letta e Napolitano hanno dovuto ribadire la fiducia nella Guardasigilli, dopo l’ennesima richiesta di dimissioni che ha trovato una certa udienza nel Pd nonostante il recente dibattito parlamentare. E’ chiaro che un passo indietro del ministro in questo momento innescherebbe un effetto dominó difficile da controllare; effetto che non può essere ignorato dal segretario in pectore del Pd, Matteo Renzi il quale si è pronunciato per le dimissioni: il che la dice lunga sulle reali intenzioni del sindaco di Firenze nei confronti dell’esecutivo delle larghe intese. Ma dall’osservatorio di Bruxelles ci si chiede anche se sia davvero un caso che Scelta civica si sia divisa in due nello stesso giorno in cui il Pdl rischia di fare la stessa fine. Il disegno di rinascita di un centro postdemocristiano, per il momento guidato da Mauro e Casini, è nei fatti: il popolarismo italiano in salsa europea guarda oltre i suoi confini, agli alfaniani e anche agli ex Margherita che si trovano stretti in un Pd pronto a confluire in Europa con il Pse. E’ un progetto che indebolisce oggettivamente le basi del governo almeno quanto la battaglia che infuria nel centrodestra. Ciò potrebbe spiegare la decisione di Silvio Berlusconi di andare a vedere la posta in Consiglio nazionale: l’interesse del Cavaliere resta certamente quello di difendere l’unità del suo movimento ma l’imminente voto di decadenza non lo mette nelle condizioni di giocare le sue carte sull’area moderata. Molto più facile cercare di strappare consensi, in prospettiva, tra i delusi, gli euroscettici e gli astensionisti che non si riconoscono più nella politica euroburocratica. Certo, il leader del centrodestra ha ribadito che Forza italia non sarà un partito estremista ed oligarchico. Ma a sfondo monarchico e leaderistico sì, come in fondo è sempre stato il Pdl. Naturalmente non sono escluse sorprese: Berlusconi ci ha abituato ai coupe de theatre. La nota con cui rivolge l’ultima chiamata ai suoi è una sferzata anche ai falchi: quando fa sapere che le uniche firme che lo interessano sono quelle dei suoi elettori, il Cavaliere ribadisce di essere l’unico depositario del segreto del voto popolare e di non avere interpreti autorizzati al di fuori di se stesso. E’ anche un modo di prepararsi alla battaglia della decadenza (il Pdl ha chiesto una nuova riunione dell’ufficio di Presidenza del Senato per contestarne le basi giuridiche) e alla nuova vita fuori dal Parlamento, in affidamento ai servizi sociali. Può essere che in extremis si giunga ad una mediazione con le colombe perché il costo della scissione sarebbe salato anche per lui: dalla perdita di sponde nel governo alle difficoltà del suo impero economico sui mercati. Ma la vera giostra in questo momento riguarda il tandem Letta-Alfano: con il pericolo di un governo destinato a vivere comunque sul filo del rasoio in caso di scissione del Pdl; e soprattutto con un vicepremier che a quel punto dovrebbe pensare subito a costruire le basi di un neocentrismo ancora tutto da inventare nei suoi reali snodi politici e parlamentari.

(Pierfrancesco Frerè)