Il difficile venerdì di Letta, tra caso Cancellieri e Ue

ROMA. – E’ un ‘venerdì nero’ per Enrico Letta: oltre al caso Cancellieri, che torna a scuotere il Pd e a far tremare l’Esecutivo, la Commissione europea bacchetta la manovra, mentre nel Pdl lo scontro fra falchi e colombe rischia sempre più a trasformarsi in una spaccatura. Di fronte a tutto questo, il premier tenta di mantenere sangue freddo. Il momento è molto delicato per un governo che da quando è nato ha dovuto già superare troppi passaggi delicati. Stavolta, però, il presidente del Consiglio deve fronteggiare contemporaneamente tre vicende, tutte potenzialmente esplosive per le larghe intese. Tanto che Letta, a proposito della credibilità dell’Italia, ammonisce sulla necessità che si faccia un po’ di chiarezza “dal punto di vista politico e istituzionale” perchè se “ogni giorno” si rischia un “terremoto” questo “non aiuta”. Sul primo fronte, quello del ministro della Giustizia, in soccorso del presidente del Consiglio arriva il presidente della Repubblica. Letta e Napolitano al telefono concordano la linea da tenere sull’affaire Cancellieri. Il capo del governo, in un faccia a faccia con la Guardasigilli, riceve rassicurazioni sulle nuove rivelazioni di stampa. E il ministro gli garantisce che non ci saranno nuove ‘sorprese’. Il premier le crede e rinnova la sua piena fiducia. In serata arriva la presa di posizione del capo dello Stato, ‘approfittando’ del tema carceri, a sancire la ‘blindatura’ del ministro. Capitolo archiviato dunque, almeno per palazzo Chigi e Quirinale. Anche se il Pd è in subbuglio e, complice la partita congressuale, il pressing per le dimissioni potrebbe ricominciare. Ma il fatto che Renzi (per ora) non affondi il colpo, limitandosi a ribadire che lui si sarebbe dimesso, rafforza la speranza che si respira a palazzo Chigi sul fatto che la vicenda possa sgonfiarsi come due settimane fa. Sul versante europeo il premier cerca di fare di necessità virtù, sfruttando i rilievi mossi da Bruxelles per frenare gli appetiti dei partiti sulla legge di stabilità. Lo dice chiaro e tondo in un passaggio della video-conferenza che, nonostante la giornata complicata, decide comunque di tenere forse proprio per mostrare “tranquillità”: nella stessa giornata – dice Letta – sul governo sono piovute le critiche di “sindacati e parti sociali” che chiedono “meno rigore” e le contestuali osservazioni della Commissione che al contrario chiede “più rigore”. Segno che la strada imboccata dall’Esecutivo, rimarca, è quella “giusta”. Un messaggio diretto all’Europa, certamente, ed in particolare all’eccessivo zelo di alcuni funzionari di Bruxelles, soprattutto sul fronte del debito visto che, sottolinea una fonte di governo, è stata proprio la Commissione a dare via libera ai pagamenti dei debiti della Pa, causa principale dell’aumento dello stock. Ma nelle parole del premier c’e’ anche un avvertimento ai partiti che hanno inondato di emendamenti la manovra. Le buone notizie, però, finiscono qui. Perché lui stesso ammette che la diversa lettura dell’impatto di alcune misure sui conti pubblici rischia di restringere ulteriormente i cordoni della borsa, visto che se alla fine l’Ue avesse ragione l’Italia non potrebbe usare quegli “investimento produttivi in deroga” (circa 3 miliardi) sui quali il governo conta molto per finanziare parte delle sue politiche. Ecco perché Letta alza i toni anche su Berlino, raccogliendo l’invito fattogli da Romano Prodi. Ma questa è una battaglia che Letta intende affrontare più avanti. Ben più pressante è l’altro nodo che stringe il collo delle larghe intese: quello del Pdl. Una partita, però, che il premier non può che lasciare ad Angelino Alfano e alle colombe governiste. Sollevato dal pensiero che il governo – sulla carta – ha comunque i numeri per andare avanti, ma consapevole anche che l’eventuale scissione complicherebbe non poco la vita delle larghe intese.

(Federico Garimberti/ANSA)

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