Berlusconi pronto a incendiare il Paese?

ROMA. – Per il modo in cui si giunge al voto di decadenza di Silvio Berlusconi dal Senato, è ormai chiaro che l’ombra del Cavaliere resterà una spina nel fianco del governo e della maggioranza. E’ un’illusione, in altri termini, pensare che una pagina politica si sia chiusa per sempre. Lo dimostra innanzitutto la fine delle larghe intese: l’addio di Forza Italia alla grande coalizione mette oggettivamente in difficoltà il Nuovo centrodestra. Angelino Alfano dice che in questo modo i berlusconiani fanno un favore alla sinistra e si sintonizzano in realtà con Matteo Renzi per un rapido ritorno alle urne nel bel mezzo della crisi economica; tuttavia è vero che il Ncd è l’unico spezzone del centrodestra che resta in maggioranza (Fi, Lega, Fratelli d’Italia e la nuova An sono tutti all’opposizione) e ciò spinge gli alfaniani verso i centristi di Mauro e Casini rendendo più difficile in prospettiva sanare la frattura con il Cavaliere. Non solo. Il voto di decadenza rischia di scavare un solco irreversibile tra gli ex compagni di partito: il Ncd voterà no ma non sarà in piazza con i fedelissimi del Cav il quale rivendica il diritto a manifestare contro un ”processo farsa” e preannuncia che si tratta solo dell’inizio. Strategia della tensione, come dice il Pd? Berlusconi è davvero un uomo pronto a incendiare il Paese, per usare le parole del democratico Danilo Leva? Naturalmente no secondo gli alfaniani che si trovano stretti tra due fuochi: ma se la temperatura politica dovesse salire ancora, la loro posizione potrebbe farsi molto difficile. Anche perché Forza Italia ha scatenato un’offensiva a tutto campo: attacca la legge di stabilità come una manovra di tasse occulte, aspetta la pronuncia della Corte costituzionale sul Porcellum che potrebbe mettere a rischio i seggi di circa 200 parlamentari eletti con il contestato premio di maggioranza, decreta la fine delle riforme istituzionali. E si chiede se il capo dello Stato non abbia nulla da dire sulla morte delle larghe intese a cui aveva legato il proprio mandato. Enrico Letta per ora ostenta la massima tranquillità: tutte queste mosse della destra erano preventivate. Tuttavia sa bene di non poter più contare al Senato sull’ampia maggioranza garantita dal vecchio Pdl. Il suo schieramento è forse più omogeneo, ma adesso dovrà fare più attenzione ai malumori che serpeggiano nel suo stesso partito (Boccia). La decisione di rispettare a tutti i costi la data del voto di decadenza di Berlusconi ha seminato perplessità nell’area moderata: dove Pierferdinando Casini ha dato voce ai dubbi di quanti avrebbero preferito attendere la pronuncia della Consulta sulla costituzionalità della legge Severino o comunque la sentenza della Cassazione sull’interdizione dai pubblici uffici. Questione di settimane, ha spiegato il leader Udc, che avrebbero però svelenito il clima e non cambiato l’esito finale della battaglia. Una revisione del processo Mediaset infatti, come dice Massimo D’Alema, non riguarda il Parlamento ma la giustizia ordinaria e su questo punto nulla sarebbe stato possibile eccepire. Adesso per il premier gli snodi cruciali sono due: la tenuta degli alfaniani e le primarie del Pd. Sul primo punto, è chiaro che c’è un processo da costruire all’ombra del popolarismo europeo insieme a centristi e montiani: ma richiede tempo e la cancellazione dall’orizzonte delle elezioni anticipate. Il che non è così scontato: il segretario in pectore del Pd, Renzi, insiste nel voler dettare al governo un’agenda che potrebbe non essere condivisa dal Nuovo centrodestra. Il sindaco rottamatore non se ne cura visto il peso esiguo del Ncd nella coalizione: però si tratta di un peso decisivo per la tenuta dell’esecutivo e ciò alimenta i sospetti dei governativi del Pd sulle reali intenzioni del leader fiorentino. Giorgio Napolitano assiste con crescente preoccupazione allo sfaldamento del quadro politico. Il Quirinale ha fatto sapere che la verifica di maggioranza, dopo l’uscita di Forza Italia, dovrebbe coincidere con il voto di fiducia sulla legge di stabilità, ma i berlusconiani non sono d’accordo e chiedono una discussione ad hoc. Sono già in campagna elettorale, avverte Renzi. Il fatto è che si può fare politica anche fuori dal Parlamento, come dice D’Alema: Berlusconi ha ancora forti appoggi internazionali (a cominciare da Putin) e l’intenzione di dare battaglia sullo stile di Grillo, a partire dalla giustizia, per abbattere l’asse Napolitano-Letta-Alfano. Offrendo così a Renzi una ghiotta occasione di cambiare tutto.

di Pierfrancesco Frerè