Caso Marò, torna lo spettro della pena di morte

NEW DELHI  – Torna il rischio pena di morte per i marò. L’India non ha ancora deciso se utilizzare o meno nella vicenda dei due fucilieri di Marina una legge speciale che prevede l’applicazione della pena capitale, ma ha avvertito per bocca del ministro dell’Interno Sushil Kumar Shinde che un annuncio al riguardo sarà fatto “nel giro di due o tre giorni”.

Il rispuntare dello spettro della pena di morte, più volte allontanato e più volte riapparso, ha provocato in Italia reazioni da parte di tutte le forze politiche, determinando un incontro di emergenza per valutare la situazione fra il premier Enrico Letta e i ministri degli Esteri Emma Bonino, della Difesa Mario Mauro, e della Giustizia Annamaria Cancellieri.

– Sarebbe inaccettabile che le assicurazioni date dal governo indiano non siano rispettate – ha detto il premier al termine del vertice, aggiungendo che “l’Italia si attende che il governo indiano sia conseguente con le assicurazioni fornite dal suo governo e dalla stessa Corte Suprema circa il non uso di una legge per la repressione della pirateria” che comporta la richiesta di pena di morte.

– Il governo italiano – ha assicurato poi Letta – è impegnato con la massima determinazione su questo caso e resterà a fianco dei Marò e delle loro famiglie fino a che avremo raggiunto l’obiettivo di riportarli in Italia.

Toni simili quelli usati dall’inviato speciale Staffan de Mistura, da giorni attivo a New Delhi, secondo il quale “sarebbe inaccettabile” una decisione indiana di adottare la Legge antipirateria (SUA Act) che prevede la pena di morte.

– Ma se nonostante tutto questo avvenisse – ha detto – noi prenderemmo le nostre contromisure.

De Mistura ha poi ripetuto all’Ansa che “per noi la ‘linea rossa’ non è l’ipotesi della pena di morte, più volte esclusa dagli indiani, ma l’adozione del Sua Act, che ha tre cose che non ci piacciono: capovolge l’onere della prova, estende l’azione della polizia nelle acque internazionali e presenta in nostri due militari come dei terroristi”.

E a New Delhi ci è voluto un vertice interministeriale (Esteri, Giustizia e Interno) per constatare quanto sia difficile per la polizia indiana Nia presentare un rapporto giuridicamente sostenibile con i capi d’accusa sull’incidente del 15 febbraio 2012 in cui sono coinvolti Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ed in cui morirono, in acque internazionali al largo del Kerala, due pescatori indiani.

L’incontro fra i ministri indiani si è concluso con un nulla di fatto e ieri Shinde è intervenuto per smentire dichiarazioni alla stampa di un funzionario anonimo del suo dicastero secondo cui era già stata approvata l’utilizzazione del Sua Act per incriminare i fucilieri di Marina.

– Nell’incontro – ha sostenuto – abbiamo discusso di vari argomenti, e per quanto riguarda i due militari italiani, la decisione sarà presa fra due o tre giorni.

I timori per una scelta che permetta alla Nia di presentare le sue conclusioni utilizzando uno strumento per la lotta al terrorismo hanno scosso anche il ministro della Difesa Mario Mauro, il quale ha dichiarato in un’intervista che “è evidente che la campagna elettorale in India si sta avvicinando in modo prepotente”.

– Il governo italiano – ha però avvertito – mostrerà sui Marò la necessaria inflessibilità.

Per capire quanto grande sia l’imbarazzo delle autorità indiane e quanto una forzatura giuridica appaia loro come l’unica soluzione possibile per mettere fine allo stallo, si ricorderà che in aprile, in un’udienza della Corte Suprema, il pubblico ministero indiano aveva promesso che le indagini della Nia si sarebbero concluse “nel giro di 60 giorni”. Ma la realtà è che dopo quasi nove mesi non si sa ancora quando e come il Rapporto degli investigatori sarà presentato. Comunque, nel caso in cui davvero Delhi concedesse il via libera all’utilizzazione del Sua Act, alcuni esperti locali suggeriscono che la Nia possa chiedere al tribunale speciale di non prendere in considerazione la pena di morte. Visto che il governo indiano ha formalmente assicurato all’Italia, per bocca del ministro degli Esteri Salman Khurshid, che il caso dei marò non rientra fra quelli “rarissimi” che richiedono la massima pena.

– Siamo tranquilli – ha assicurato d’altra parte Alessandro Girone, fratello di Salvatore – queste voci sulla pena di morte girano da tempo ma, come ha più volte ribadito anche De Mistura, sappiamo benissimo che è una legge inapplicabile ai nostri ragazzi e senz’altro verrà smentita nei prossimi giorni.

Sua Act, l’Art. 3 prevede la pena di morte
Il draconiano provvedimento che l’India potrebbe invocare nel processo contro i marò è la “Legge per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima e le strutture fisse sulla piattaforma continentale”, che è abbreviata con l’acronimo di “SUA Act”. E’ uno strumento giuridico adottato dall’India nel 2002 per dare esecuzione a un’omonima Convenzione internazionale firmata a Roma nel 1988 dopo il dirottamento della nave Achille Lauro, avvenuto tre anni prima da parte di un gruppo di terroristi palestinesi.

Questa Convenzione definisce per la prima volta il concetto di “terrorismo marittimo” e permette a uno Stato di estendere la sua giurisdizione anche al di fuori delle proprie acque territoriali in caso di crimini su navi o strutture fisse. Ed è per questo che viene evocata nel caso della Enrica Lexie, perché l’incidente è avvenuto al largo del Kerala in acque non territoriali, ma contigue, dove l’India ha alcuni “diritti sovrani” ma non la “sovranità”.

Il suo articolo tre, quello più temuto, prevede in particolare che “chi causa la morte di una qualsiasi persona sarà punito con la morte”. Il “SUA Act” compare nella lista di leggi per le quali è competente la National Investigation Agency (Nia), una sorta di Digos indiana nata nel 2008 dopo le stragi di Mumbai, ed a cui sono state affidate le indagini sui due fucilieri italiani dopo che la Corte Suprema ha sottratto il caso alla polizia del Kerala per carenza di giurisdizione.

Secondo il suo statuto, questa polizia non si occupa di reati “ordinari”, come gli omicidi, ma soltanto di casi di terrorismo, o altri riguardanti la sicurezza nazionale. In teoria quindi, senza l’utilizzazione delle leggi speciali, e a meno di modifiche che però non possono essere rapidissime, la Nia non è in grado di intervenire. Lo scorso aprile i legali dei marò presentarono un ricorso alla Corte Suprema contro la decisione di New Delhi di affidare le indagini alla Nia, che però non fu accolto dal massimo organo giudiziario che lasciò al governo la scelta di quale polizia utilizzare

Esplode la polemica politica
E’ allarme rosso a Roma sulla possibilità, evocata ieri in India, che al caso dei due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone possa essere applicata la speciale legge antipirateria che prevede la pena di morte. L’Italia sta studiando le sue “contromisure” e si prepara a prendere tutte le iniziative necessarie, “in ogni sede” e in modo “inflessibile” per allontanare lo spettro di una pena capitale che sembrava ormai essere svanito del tutto.

– Sarebbe inaccettabile che le assicurazioni date dal governo indiano non vengano rispettate – ha detto il presidente del Consiglio dopo l’incontro con i ministri Emma Bonino, Mario Mauro e Annamaria Cancellieri. E se così non fosse, l’Italia è pronta a reagire “con tutte le iniziative necessarie”, “in tutte le sedi”, ha assicurato Letta.

– In questa complicata vicenda il governo mostrerà la necessaria inflessibilità – ha assicurato il ministro della Difesa Mario Mauro. E intanto la polemica politica si è già scatenata.

Il M5S ha accusato il governo di “far solo chiacchiere” e ha annunciato una missione in India, a sue spese, come già accaduto in Kazakistan per il caso di Alma Shalabayeva. Fratelli d’Italia ha chiesto che la Bonino riferisca immediatamente in Aula, mentre per Mara Carfagna (Forza Italia) “se la vicenda non fosse una tragedia sarebbe una farsa”.

Per il vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani, “la pena di morte è una sanzione contro i diritti dell’uomo, contro i valori dell’Ue”, mentre la vicepresidente del Parlamento europeo Roberta Angelilli ha chiesto “una netta presa di posizione dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri, Catherine Ashton, affinché vi sia una piena applicazione del diritto internazionale”.

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