Maró: India verso abbandono della legge antiterrorismo

NEW DELHI. – Si aprono spiragli nel caso dei marò. Il ministero degli Interni indiano, finora alfiere della linea dura, starebbe seriamente valutando l’abbandono della legge antiterrorismo per presentare i capi d’accusa contro i due militari italiani. Allontanando così definitivamente lo spettro di una condanna a morte. “I marò – ha detto d’altra parte pubblicamente il ministro degli Esteri Salman Khurshid – possono aver ecceduto nelle loro funzioni, ma non sono terroristi”. Il ricorso presentato dall’Italia presso la Corte Suprema per esigere risposte sulla vicenda – dopo quasi due anni dall’incidente al largo del Kerala in cui morirono due pescatori indiani – ha insomma impresso un’accelerazione, scuotendo il torpore che aveva caratterizzato negli ultimi mesi l’azione del governo locale. Le ultime notizie provenienti da New Delhi vengono esaminate con grande attenzione a Roma, dove è stata annunciata la decisione di inviare in India una delegazione parlamentare composta da tutte le forze politiche per contribuire ad una definitiva soluzione del caso. Significativamente Khurshid, di fronte ad una probabile reprimenda la settimana prossima da parte della Corte Suprema, ha messo le mani avanti, sostenendo che la gestione del caso è stata “un disastro”. E non ha esitato a puntare il dito contro chi finora, nel ministero dell’Interno, ha imposto la linea dura, assegnando le indagini alla polizia investigativa Nia, che si è sempre occupata di terrorismo e che ha per statuto l’obbligo di usare leggi che prevedono la pena di morte, come quella per la repressione della pirateria marittima (il ‘SUA Act’). Khurshid ha osservato che i marò “non sono terroristi”. Aggiungendo che “quando (l’Italia) mi dice che dopo due anni ancora non ci sono capi d’accusa, mi sento imbarazzato”. “Avremmo potuto – ha concluso – semplicemente processarli e dire poi agli italiani se a nostro avviso i loro marò erano o no colpevoli”. E proprio questa mancanza di chiarezza, e l’inosservanza delle disposizioni impartite dalla stessa Corte Suprema, sono gli elementi portanti del ricorso presentato dai legali di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. In esso si sottolinea che le principali raccomandazioni del massimo tribunale – strumenti da utilizzare per le indagini, tempi rapidi del lavoro investigativo e processo da parte di una tribunale speciale con ritmo quotidiano – sono state disattese, cosa che a giudizio della difesa rappresenta “una grave offesa per la Corte Suprema stessa”. Ne consegue che l’Italia chiede alla Corte di “chiudere il caso, visto che dopo due anni gli investigatori non sono stati in grado di presentare i capi di accusa”. O, in alternativa, “di autorizzare i due Fucilieri di Marina a rientrare in Italia” nell’attesa dei futuri sviluppi. Commentando con l’Ansa questo scenario, l’inviato del governo Staffan de Mistura, che oggi sarà in Italia per consultazioni, ha detto che “abbiamo mostrato come in questa storia l’India si sia cacciata in un angolo. Ma noi non vogliamo accanirci, bensì aiutarla ad uscire da questa situazione”. A lungo sordo ad ogni sollecitazione ed ai richiami alla ragione, il ministero dell’Interno indiano sembra adesso rendersi definitivamente conto del “disastro” evocato da Khurshid, pronto ad abbandonare la strategia adottata finora. In serata fonti ministeriali hanno affidato all’agenzia Pti una riflessione circa la possibile rinuncia dell’utilizzazione del SUA Act per rispettare le assicurazioni fornite dall’India all’Italia che il caso dei marò non è fra quelli “rarissimi fra i rari” per cui si fa valere in India la pena di morte. Ed è quindi molto probabile che in occasione delle udienze la settimana prossima per l’esame del ricorso italiano il pm indiano comunicherà l’impossibilita’ di applicare la Legge per la repressione della pirateria, e affiderà ai giudici della Corte una decisione sul futuro. (Maurizio Salvi/ANSA)

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