Nei geni chiave per allevare futuri fuoriclasse calcio

ROMA. – Nel Dna e nel sangue ci sono i segreti per divenire dei ‘Pelé’, allevare e allenare talenti del calcio e trasformarli in fuoriclasse, personalizzandone allenamenti e alimentazione, scegliendo il ruolo di gioco migliore per il loro fisico e quindi ottenere il massimo da loro proteggendoli da infortuni di gioco. Infatti un accordo appena stipulato tra Università Cattolica e Lega Italiana Calcio Professionistico (Lega Pro) ha l’obiettivo di studiare il profilo genetico e molecolare di giovani calciatori per capire in dettaglio quali sono i punti di forza (e i punti deboli) del loro fisico e scegliere per loro la migliore strategia di allenamento e di gioco. Sono ormai consolidate le conoscenze genomiche e molecolari che consentono di indagare il fisico di un atleta non solo dal punto di vista antropometrico ma più nel profondo, studiandone il metabolismo, la potenza muscolare e altri parametri fondamentali che distinguono un campione da un dilettante. E grazie a questo accordo, firmato oggi a Frosinone dal Presidente della Lega Pro, Mario Macalli e da Bruno Giardina dell’UCSC, alla presenza del Presidente FIGC, Giancarlo Abete e del Presidente FMSI Maurizio Casasco, i ricercatori dell’UCSC scendono in campo per studiare le promesse del calcio e aiutarle ad accrescere il proprio talento. ”Effettueremo alcune analisi per valutare una serie di marcatori di performance dell’atleta”, spiega Ettore Capoluongo, responsabile dell’U.O.S. di Diagnostica Molecolare Clinica e Personalizzata. La letteratura scientifica ha reso disponibili dati importanti di associazione tra ‘mutazioni’ presenti in alcuni geni e la capacità di adattarsi meglio ad alcuni tipi di attività sportiva, di preparazione, e di recupero post-training. In altri termini, esistono geni legati al ‘talento sportivo’ che garantiscono migliori performance muscolari e resistenza allo sforzo, muscoli più scattanti e altre caratteristiche corporee e metaboliche che fanno di un individuo un campione. ”Molti club stranieri – sottolinea Capoluongo – hanno cominciato da qualche anno ad usare questi ulteriori parametri biomolecolari nella scelta dei ruoli migliori per la squadra o nella modulazione del training”. Ad esempio un indicatore di performance è determinato dalla composizione dei muscoli dell’atleta, cioè dalla tipologia di fibre muscolari di cui sono composti i suoi muscoli, la quale dipende a sua volta da determinati varianti genetiche. ”I nostri studi – continua Capoluongo – hanno lo scopo di verificare su una popolazione selezionata e monitorata di atleti l’effetto di tali varianti, singolarmente e/o in combinazione; e di collaborare con lo staff medico e tecnico per rendere maggiormente efficaci le attività di preparazione atletica o di selezione dei ruoli, sulla base delle potenzialità massime individuali che l’atleta può esprimere proprio per effetto della sua componente biologica. Questo vuol dire anche poter evitare agli atleti quegli stress (come l’eccesso di allenamento) che possono causare danni importanti e costringere l’atleta a periodi di fermo”. Infine si cercherà di individuare marcatori bio-molecolari precoci di stress monitorando gli atleti durante e dopo gli allenamenti, per sviluppare sia nuovi test sia schemi di recupero basati soprattutto su un corretto apporto e comportamento nutrizionale. 

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