Repubblica Ceca controcorrente, Zeman “vogliamo l’euro”

STRASBURGO.- Le prossime Europee si presentano come un referendum sull’Euro, ma mentre tutti fanno a gara a chi spara più forte contro la moneta unica, la Repubblica Ceca la vuole. Ha appena “adottato il ‘fiscal compact’, l’accordo sulla disciplina di bilancio senza la Gran Bretagna, ed ora “vuole entrare nell’euro al più presto” perché “chi lo critica lo fa perché ha paura delle cose sconosciute, mentre in realtà è stato un elemento di stabilizzazione nella crisi”. A dirlo, nel suo intervento d’onore davanti alla plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo, il presidente Milos Zeman. 69 anni, ex leader del partito socialdemocratico ceco, fondatore nel 2009 del Partito dei diritti, terzo presidente della Repubblica dopo la secessione dalla Slovacchia e successore di Vaklav Klaus, Zeman ha annunciato la svolta affermando che il suo paese è entrato in quel trattato intergovernativo sulla disciplina di bilancio che la Germania volle due anni fa come condizione per creare il fondo salva-stati Esm. Praga, con il governo euroscettico di centro-destra di Petr Necas, ne era rimasta sdegnosamente fuori, come Londra. Caduto Necas a giugno scorso per una serie di scandali, ecco la conversione con il governo guidato da gennaio scorso dal giovane socialdemocratico Bohuslav Sobotka. Conversione parziale, perché i liberali che sostengono il governo di centrosinistra, tanto filo-euro non sono. Come il ministro delle Finanze, Andrej Babis, secondo cui l’euro “non è un obiettivo” del governo. Ma Zeman nel corso di una conferenza stampa ha precisato che ora il suo paese “rispetta i criteri di Maastricht” e che “il processo di adesione può durare da un minimo di due ad un massimo di cinque anni, se le cose vanno male”. In particolare ha fatto riferimento alla possibilità che “la banca centrale lasci fluttuare eccessivamente la corona, forse di proposito”. Nel corso del suo intervento in aula, fortemente europeista quanto realista e critico, il presidente ha sostanzialmente chiesto un’Europa che si occupi di grandi cose, non più di quelle minuzie che fanno imbestialire i consumatori. Ha parlato del suo “sogno europeo”, dicendo che “non include il folle trasferimento del Parlamento da Bruxelles a Strasburgo e viceversa”. Con un forte no alle “direttive stupide”. No “ai formaggi o alle birre tutte uguali”. Ma si ad una federazione che abbia politica estera e forze armate comuni, “una politica fiscale e sociale comune” e soprattutto sappia lanciare “grandi progetti per ferrovie, acqua e energia” quelli che “vanno al di là dell’orizzonte temporale della politica, che normalmente non va oltre i quattro anni”.  (Marco Galdi/ANSA)