La giornata politica: Renzi, l’Italia sa da sola che cosa fare

ROMA. – Matteo Renzi si deve essere reso conto del pericolo di un appiattimento sulla linea del governo Letta in Europa. La sua prima replica alla bocciatura di Bruxelles era sembrata fin troppo accomodante. Così proprio dalla capitale europea, dove si trova per tutti altri motivi (la crisi ucraina), ha fatto sapere all’Unione che l’Italia sa da sola che cosa fare e che non accetta che le siano dettati i ”compiti a casa”. Il governo italiano, in particolare, non ritiene di dover fornire rassicurazioni di alcun tipo sui nostri conti pubblici; di più: non è in agenda nessuna manovra correttiva, come paventato dalle opposizioni. L’impressione è che il premier abbia accettato la sfida della commissione Ue proprio sul terreno dei parametri. L’analisi di Olly Rehn è suonata infatti come una mossa preventiva per dire che non ci sono margini per rinegoziare i tetti del Patto di stabilità. Ora il fatto è che il programma di rilancio del Rottamatore punta proprio a questo obiettivo, sia pure nelle forme possibili (dallo sganciamento degli investimenti produttivi dai tetti fino all’uso dei fondi europei). Del resto il leader del Pd è incoraggiato a procedere su questa strada dallo stesso capo dello Stato, che denuncia il livello non più sostenibile della disoccupazione italiana, e dal Nuovo centrodestra (Cicchitto dice che l’Ue ci chiede l’impossibile). Renzi ha giocato fin qui la sua partita su un’immagine e su promesse completamente diverse da quelle del suo predecessore e non può insistere sulla strada dei tagli e del rigore senza smentirsi clamorosamente alla prima prova impegnativa. Come dice l’azzurra Mara Carfagna, Rehn ci ha detto in sostanza che le cure da cavallo di Monti e di Letta sono state inutili e dunque sarebbe contradditorio proseguire in quella direzione. Il ministro dell’Economia Paodan se la cava dicendo che l’Ue ci chiede le cose che stiamo già facendo, ma in realtà non è proprio così. Il Jobs Act, il piano casa, il taglio del cuneo fiscale sono misure che devono ancora essere dettagliate e presentate in Europa: solo dopo si potrà dire se corrispondono davvero alle attese di Bruxelles. E comunque Renzi ha il problema di non apparire come un leader velleitario anche perché in maggio avrà la sua prova del fuoco: le elezioni europee, il primo vero test della nouvelle vague democratica. Ecco perché le votazioni in corso alla Camera sulla riforma elettorale costituiscono la cartina di tornasole delle prospettive di maggioranza. Il varo dell’Italicum è già slittato alla settimana prossima, nonostante l’opposizione del Pd, a causa della guerriglia parlamentare messa in atto da tutti i piccoli partiti: quasi un anticipo delle difficoltà che si incontreranno a palazzo Madama. E’ facile prevedere che analoghi ostacoli riguarderanno l’abolizione del Senato e la sua trasformazione in camera delle autonomie. Napolitano ha intuito il pericolo delle sabbie mobili e perciò ha auspicato una rapida approvazione della nuova legge. Riservandosi tuttavia di esaminarla con estrema attenzione prima della firma, anche in relazione alla fase di interregno in cui dovrebbero essere in vigore due leggi elettorali diverse per i due rami del Parlamento. Il problema è che il testo originario concordato da Pd e Fi sta subendo continue limature: nel voto segreto la comparsa dei franchi tiratori ha finito per rendere determinanti i forzisti. Le soglie di sbarramento e del premio di maggioranza hanno retto alla prova dell’urna, ma è evidente il crescente nervosismo di Silvio Berlusconi che, dopo aver accettato la limitazione della nuova legge alla Camera, non vuole fare altre concessioni. La questione delle quote rosa, per esempio, sta mettendo a dura prova le intese (gli azzurri sono contro la parità di genere): negli scrutini segreti c’e’ il rischio di infortuni dalle conseguenze imprevedibili. Ciò spiega perché Renzi abbia fretta di chiudere il prima possibile, in modo da tenere fede alla sua prima promessa, il varo di una riforma attesa da anni, e di dare la dimostrazione che l’accordo di legislatura è solido e concreto. (di Pierfrancesco Frerè/ANSA).

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