Privatizzazioni, solo Fincantieri pronta subito

ROMA. – Il primo segnale di continuità nelle procedure per la vendita delle partecipazioni in un discreto numero di società pubbliche è stata una battuta del nuovo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, intervenuto sull’argomento una settimana fa. Ma la conferma definitiva è arrivata dal viceministro Enrico Morando, interpellato a margine di una audizione alla Camera. L’annuncio è stato di condivisione piena dei programmi annunciati dal governo precedente, con la dichiarazione d’intenti di voler procedere rapidamente. Anche perché, si potrebbe aggiungere, il piatto piange e per finanziare la ripresa dell’economia occorrono soldi. Tanti soldi. In più la sensazione è che torni all’ordine del giorno la necessità d’interventi sul fronte bancario, non soltanto per il Monte dei Paschi di Siena. Il che significa, se andrà davvero così, che serviranno altri capitali. Per le banche una boccata di ossigeno importante è arrivata dalla rivalutazione delle partecipazioni nel capitale della Banca d’Italia, finita però nel mirino delle autorità europee. Ora occorre vedere come finiranno le verifiche sulla qualità dei bilanci bancari avviate in Europa e gli stress test che seguiranno, ma la crescita delle sofferenze e, soprattutto, l’aumento esponenziale delle ristrutturazioni del debito autorizza una forte preoccupazione. Ecco perché diventa necessario rilanciare le dismissioni programmate. Gli ostacoli però non mancano. E l’impressione è che nel passaggio dal governo Letta al governo Renzi avrebbe potuto essere utile una cabina di regia strettamente tecnica per dare impulso alle operazioni in corso, anche se la continuità è favorita dal comitato per le privatizzazioni e dal passaggio al Tesoro di alcuni dei principali collaboratori dell’ex presidente del consiglio (a partire dall’attuale capo di gabinetto Fabrizio Pagani, in precedenza consigliere per gli Affari economici e internazionali). Un altro ostacolo di non poco conto è rappresentato dalla variabile nomine perché, per esempio, le due società citate da Morando, le Poste e l’Enav, hanno entrambe i vertici in scadenza. Nel primo caso è in gioco il rinnovo dell’amministratore delegato Massimo Sarmi, mentre nel secondo va decisa la posizione dell’amministratore unico, Massimo Garbini. Nonostante ciò un segnale chiaro che la macchina del collocamento sul mercato del 40% di Poste si è rimessa in movimento sono le lettere partite nei giorni scorsi per la scelta delle banche a cui affidare il ruolo di global coordinator. I nodi da sciogliere, tuttavia, rimangono almeno due e non sono di poco conto: le modalità di coinvolgimento dei dipendenti (ma forse anche dei clienti di Poste italiane) e il rinnovo della convenzione con la Cassa depositi e prestiti, che gestisce la raccolta del risparmio postale (il contratto attuale è triennale ma dovrebbe diventare di durata cinque anni). Considerando il tutto, difficilmente la tabella di marcia che inizialmente prevedeva la chiusura del collocamento nella tarda primavera verrà rispettata. L’appuntamento è rimandato all’autunno. Ancora da definire rimangono le modalità dell’operazione che riguarderà una partecipazione fino al 49% dell’Enav, la società di controllo del traffico aereo. L’alternativa è tra il collocamento in Borsa oppure l’asta competitiva, mentre la nomina dell’advisor è attesa in tempi brevi con in gara un ristretto numero di banche d’affari tra cui Rothschild, Hsbc, Jp Morgan, Credit Suisse. Altre difficoltà riguardano la Sace, per la quale va superato il nodo della distinzione tra i rischi assicurabili e i rischi Paese, di cui non può farsi carico una società quotata. Chi se ne attribuirà l’onere? Il Tesoro, inoltre, ha già venduto la Sace nel 2012 alla Cassa depositi e prestiti, di cui è azionista e di cui sono azioniste anche le fondazioni di origini bancarie. Insomma, da una parte la vende due volte dall’altra una quota della seconda vendita resta alle fondazioni. Tempi che si annunciano lunghi, infine, sia per il riacquisto di azioni proprie avviato dall’Eni che consentirà al Tesoro di vendere il 4,5% della società mantenendo la partecipazione pubblica sopra il 30%o (finora ne è stato riacquistato solo lo 0,5%) sia per il collocamento fino al 49% di Cdp reti, una sorta di scatola cinese in versione pubblica che fa capo alla Cassa depositi e in cui confluirà la partecipazione in Terna (a fianco di quella in Snam). Insomma, allo stato attuale l’unica operazione pronta per essere chiusa in bellezza in tempi rapidi è il collocamento di Fincantieri, con advisor e global coordinator già nominati. E con la certezza di continuità nella guida perché l’amministratore delegato, Giuseppe Bono, non è in scadenza. (di Fabio Tamburini/Ansa)

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