La giornata politica: Merkel aspetta al varco Renzi

ROMA. – Angela Merkel giudica ”ambizioso” il progetto di governo di Matteo Renzi. Un commento double face che da un lato promuove l’accelerazione del giovane premier alla vigilia del vertice italo-tedesco e dall’altro ne incornicia le difficoltà. Tutti sanno infatti che la vera partita del Rottamatore si giocherà in Europa. Il lungo vertice al Quirinale con il capo dello Stato e i ministri economici è servito a preparare la strategia dei due incontri con Hollande e Merkel e del Consiglio europeo della prossima settimana. Sul tavolo la reciprocità che il nostro Paese chiede all’Europa: secondo Renzi, in sostanza, non si può continuare a chiedere all’Italia – come fa la Bce – di proseguire nei tagli per ridurre il tetto del deficit al 2,5 per cento senza mettere in campo compensazioni economiche che aiutino il Paese a riprendere la via dello sviluppo. L’appoggio totale delle massime cariche dello Stato a questo sforzo di correzione della rotta di Bruxelles è per il presidente del Consiglio un’arma in più al tavolo delle trattative: come ha spiegato la presidente della Camera Laura Boldrini, ormai quasi tutti i Parlamenti europei chiedono che l’Unione cambi politica. Tuttavia le resistenze dell’Eutower a consentire all’Italia di riavvicinarsi al tetto del 3 per cento di deficit (il che varrebbe alcuni miliardi di risorse per la manovra) sono forti: è evidente che Renzi non otterrà nessun via libera senza un accordo preventivo, prima del Consiglio europeo, con il presidente francese e con la cancelliera tedesca. Ciò dimostra la delicatezza dei due incontri e la necessità del Rottamatore di presentarsi a Parigi e a Berlino con qualcosa di concreto in tasca: un programma di tagli significativi alla spesa pubblica (al commissario Cottarelli è stato chiesto di trovare soldi aggiuntivi rispetto alla stima prudenziale dei 3 miliardi di risparmi per il 2014), una riforma del lavoro che ci allinei al mercato europeo (ma qui è già scattata la protesta della Cgil sui contratti a termine), un cammino credibile di nuova liquidità per imprese e lavoratori, il tutto garantito da riforme istituzionali di un certo impatto anche mediatico (come l’abolizione del Senato). Davvero una rivoluzione agli occhi dei partner internazionali, sulla quale però la stampa anglosassone avanza seri dubbi: il Financial Times, per esempio, parla di un’ agenda che ha senso ma che non ha coperture senza ricorrere a nuovo debito. Ora, per Renzi il vero problema politico è quello di approdare in Europa senza una vera pacificazione politica alle spalle. Le proteste della minoranza democratica sulla legge elettorale rischiano di trasformarsi in una bomba ad orologeria piazzata sotto la poltrona del premier: se è vero, come avverte Pier Ferdinando Casini, che il blocco della riforma equivarrebbe a decretare il ritorno alle urne, a Bruxelles non ci si può sentire tranquilli sulla scommessa politica fatta da Renzi. Del resto in Europa certi bizantinismi della politica italiana sono sempre apparsi incomprensibili. Prendiamo la volontà di Forza Italia di presentare Silvio Berlusconi come capolista alle europee: la legge Severino impedisce ad un condannato in via definitiva di candidarsi alle elezioni di qualsiasi tipo; dunque si tratta con ogni evidenza di un’ operazione politica (una provocazione, dicono i democratici) che tenta di tenere a galla il partito berlusconiano giocando ancora una volta il nome dell’unico uomo ancora in grado di scaldare i suoi cuori. E’ chiaro che se davvero il Rottamatore dovesse riuscire nella sua operazione di dare soldi alle fasce medio-basse, riformare il mercato del lavoro, tagliare le tasse per le imprese, riformare leggi vitali dello Stato abolendo una Camera, per di più con il consenso dell’euroburocrazia di Bruxelles, l’immagine del Cavaliere ne uscirebbe fortemente indebolita avendo egli in passato fallito tutti questi obiettivi. Non a caso i sondaggi dicono che l’elettorato di centrodestra e grillino subisce la suggestione dell’offensiva mediatica renziana. Sono sottigliezze a cui le istituzioni europee faticano a stare dietro, sebbene si sappia quanto il patto tra Renzi e Berlusconi sia stato determinante per la svolta della politica italiana. Ma non per questo il premier può ignorarle: il suo cammino si basa su un’intesa implicita con Berlusconi e Alfano e non prevede che i due debbano accettare di diventare le vittime sacrificali del nuovo corso. (di Pierfrancesco Frerè/Ansa)