La giornata politica: Renzi torna da Berlino con un risultato politico concreto

ROMA. – Matteo Renzi si è fatto precedere a Berlino dalla dichiarata volontà di non prendere lezioni dalla Germania (”siamo l’Italia, non asini da mettere dietro la lavagna”). Una mossa psicologica nello stile del personaggio, il premier-segretario-sindaco che parla chiaro, ammette gli errori, scommette alto sulle riforme strutturali. Angela Merkel non poteva con ogni evidenza bocciarne il programma. Né avrebbe voluto, in un momento in cui anche i tedeschi accusano problemi economici interni, la crescita dell’ euroscetticismo e, soprattutto, una crisi di leadership internazionale (come ha dimostrato il caso Ucraina). Nelle parole di incoraggiamento della cancelliera a Renzi si è avvertita comunque una certa cautela. La Merkel non può certo ignorare l’ostilità della stampa del suo Paese per un capo di governo che, scrive per esempio la Welt, vuole risolvere i suoi problemi facendo altri debiti. Un’eco di questa posizione si è colta anche nelle dichiarazioni del ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble il quale apprezza le novità strutturali del programma renziano ma invita anche a non deflettere dalla linea del rigore: a non utilizzare in altre parole il differenziale che attualmente ci separa dal famoso tetto del 3 per cento (0,3-0,4 per cento, equivalente ad alcuni miliardi) per il rilancio dell’economia. Questo interrogativo è stato il grande assente della conferenza stampa congiunta che ha concluso il vertice italo-tedesco: la Germania, in sede di Consiglio europeo, accetterà che l’Italia torni a sfiorare il 3 per cento del rapporto deficit-Pil per finanziare le riforme e il piano lavoro? Difficile dirlo anche alla luce di quell’accenno della Merkel al bicchiere ”mezzo vuoto” che è da riempire di contenuti. La cancelliera tedesca si è detta ”molto colpita” delle innovazioni introdotte da Renzi e soprattutto dal Jobs Act che, secondo il premier italiano, si ispira in alcuni aspetti alla flessibilità tedesca. Ma certo per Berlino è difficile contestare due punti cruciali: il fallimento delle politiche di austerity messe in atto dai governi Monti e Letta e il fatto che esso sia dipeso in gran parte della mancata crescita. Dal momento che su tutto il continente grava lo spettro della deflazione, e che il presidente francese Hollande sembra in sintonia più con Roma che con Berlino, è probabile che alla fine al nostro Paese sia accordato quel margine di elasticità che in questo momento rappresenta l’unica strada per innovare le politiche economiche Ue. Renzi torna così dalla capitale tedesca con un risultato politico concreto: una crepa nel muro della rigidità di politica economica della Germania. Tutti sanno che il cammino sarà lungo e ricco di insidie, ma intanto è la prima volta che un premier italiano raccoglie una sorta di attenzione e di curiosità su un programma ben diverso dalla solita austerity merkeliana. La cancelliera ripete che il progetto italiano è ambizioso, cioè non privo di rischi, tuttavia lascia intendere che potrebbe rappresentare una reale exit strategy dalla stagnazione. Si tratterà adesso di vedere le reazioni in Italia. Renzi sta continuando ad accelerare forse oltre le previsioni e Forza Italia comincia a trovarsi stretta tra la necessità di non chiudere la porta alle strategie anticrisi e quella di non finire sotto processo per i mancati risultati degli anni scorsi. Il percorso del Rottamatore, in sostanza, rischia di dimostrare che certi risultati erano possibili. Ma soprattutto Fi non ha in questo momento un leader spendibile in alternativa al Cavaliere. L’insistenza con la quale i suoi fedelissimi premono per rendere possibile una sua candidatura alle europee è lo specchio di questa difficoltà. Come si fa notare, infatti, Berlusconi per la legge italiana non è ineleggibile ma incandidabile in base alla legge Severino votata anche da Forza Italia. L’unica via d’uscita sarebbe la grazia del capo dello Stato: una richiesta inopportuna, sottolinea Renato Schifani, che si tramuterebbe in una vera e propria pressione su Giorgio Napolitano, quando anche l’Ue fa sapere come la normativa europea sulle candidature sia molto chiara e non aggirabile. (di Pierfrancesco Frerè/Ansa)

 

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