La giornata politica: Obama ha elogiato il nuovo corso della politica italiana

ROMA. – L’immagine internazionale di Matteo Renzi esce indubbiamente rafforzata dal summit romano con Barack Obama. Il presidente degli Stati Uniti ha elogiato il nuovo corso della politica italiana, tanto da incoraggiare il premier a dire che lo slogan ”yes, we can” ora vale anche per noi. Che cosa può fare di preciso l’Italia per uscire dalla crisi? Cambiare innanzitutto l’agenda economica europea, come ha detto anche il ministro Pier Carlo Padoan, orientandola su crescita ed occupazione, due elementi che sono completamente mancati all’Ue. E poi sfruttare il semestre italiano di presidenza dell’Unione per chiudere lo strategico accordo commerciale con gli Usa e migliorare l’integrazione tra le due sponde dell’Atlantico. Obama ha compiuto un’apertura di credito nei confronti di Renzi, intravedendo la possibilità di una nuova fase di rapporti che in qualche modo condizioni la linea tedesca di austerità poco gradita a Washington. Il poter parlare con una personalità che è capo del governo e allo stesso tempo del partito di maggioranza è per gli americani una novità di rilievo. Renzi non si è lasciato sfuggire l’occasione di difendere l’ orgoglio nazionale ricordando, con argomenti che per altro erano quelli di Silvio Berlusconi, che l’Italia non è la cenerentola d’Europa: ha un alto debito pubblico ma anche risparmi privati che ammontano a quattro volte tanto e un solido avanzo primario. Naturalmente l’investitura americana avrà bisogno di essere confermata dai fatti, cioè dal varo di quelle riforme strutturali e istituzionali che tutti si aspettano per poter dire che è iniziata la ripresa. Ma intanto il Rottamatore ha potuto spiegare come la sua politica sociale si ispiri a quella di Obama, il quale gli ha fornito spunti anche per il Jobs Act. Renzi ha poi tenuto duro sulla richiesta Usa di rivedere il taglio degli F35 (”verificheremo in base al nostro budget”), spuntando le possibili armi polemiche della sinistra. Adesso è atteso alla prova della tenuta in Parlamento. Per il segretario-premier è questo infatti il fronte più insidioso. Nella Direzione del Pd (che domani varerà il ticket Guerini-Serracchiani per la guida della macchina organizzativa) Renzi gode di una amplissima maggioranza. Nei gruppi parlamentari invece la minoranza interna, radunata attorno a Bersani, Letta e Cuperlo, ha numeri tali da poter mettere in difficoltà i renziani. Sul decreto lavoro, per esempio, chiede modifiche di contrasto alla precarietà che il governo non potrà ignorare. Più in generale, denuncia Forza Italia, si sta riaffacciando un ”partito anti-Italicum” il cui obiettivo è quello di rimaneggiare in modo sostanziale il testo votato dalla Camera sulla base dell’intesa Renzi-Berlusconi. Ma c’è un altro elemento della giornata da non sottovalutare. L’omelia di Papa Francesco ai circa 500 parlamentari convenuti in Vaticano per la messa del giovedì. Il Pontefice, illustrando il senso del Vangelo del giorno, ha messo in guardia contro le classi dirigenti che si allontanano dal popolo e si chiudono nelle loro lotte di potere che fatalmente fanno scivolare nella corruzione. Sepolcri imbiancati che ignorano le esigenze della gente comune che pure dovrebbero rappresentare. In molti hanno rilevato un certo parallelismo con quanto avviene nella politica occidentale, e non solo italiana, un grido di dolore che rischia di restare inascoltato. Papa Bergoglio, con la consueta franchezza, ha messo il dito nella piaga con un richiamo forte all’obbligo di cambiare registro. Del resto questo era il motivo per il quale Obama aveva programmato la sua visita a Roma: incontrare l’uomo che tocca le sue corde più profonde e che anche negli Stati Uniti è al centro dell’attenzione mediatica. Molti parlamentari sono sembrati colti alla sprovvista dalle denunce di Papa Francesco e dal fatto che al termine della messa non si sia soffermato con tutti loro (ha incontrato in sagrestia per un breve saluto solo i presidenti delle due Camere). Anche questo è un segnale dei tempi che cambiano: a tutti è richiesto di mettersi in gioco. Non ci sono più parti privilegiate, come un tempo, da una Chiesa che è solo missionaria ed apostolica. (di Pierfrancesco Frerè/Ansa)