Ucraina: Putin ritira truppe ma insiste su federazione

MOSCA. – Mosca comincia a ritirare le truppe dal confine con l’Ucraina, alla vigilia delle esercitazioni aeree Nato nei Paesi baltici in concomitanza con la riunione dei ministri degli esteri dell’Alleanza. E non boccia più a priori la legittimità delle presidenziali convocate per il 25 maggio. Ma non retrocede dalla sue proposte per uscire dalla crisi, in particolare da una riforma federale che per ora Kiev rifiuta in modo sdegnato e categorico. Putin ha insistito sulla sua necessità, “per tutelare gli interessi legittimi degli abitanti di tutte le regioni” dell’Ucraina, in una telefonata alla cancelliera tedesca Angela Merkel, alla quale ha denunciato inoltre il blocco in Moldova della Transnistria, altra regione russofona secessionista. Qualcosa comunque sembra muoversi dopo l’incontro parigino tra il segretario di Stato Usa John Kerry e il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov. Pur mantenendo opinioni divergenti, i capi delle due diplomazie hanno concordato di cercare “un terreno comune” per una soluzione diplomatica della crisi. Kerry aveva chiesto, tra l’altro, il ritiro delle forze militari russe dai confini, ritenendo che non si possa dialogare con una pistola puntata alla testa. E adesso Mosca ha lanciato un primo segnale, dopo che nei giorni scorsi si erano diffuse voci sulla presenza di alcune decine di migliaia di militari pronti per un eventuale blitz. La Russia “sta ritirando progressivamente” le truppe alla frontiera, ha reso noto un portavoce del ministero ucraino della Difesa, Olexii Dmitrashkivski, secondo cui i movimenti potrebbero essere legati “ad un avvicendamento dei militari” oppure più probabilmente “ai negoziati tra Russia e Stati Uniti” di domenica. “La situazione ai confini orientali è stabile, il numero dei soldati è diminuito”, gli ha fatto eco più tardi il vice comandante dello Stato maggiore ucraino Oleksandr Rozmaznin, pur confessando di non essere in grado di fornire cifre esatte. Per ora Mosca ha confermato il rientro alla base di un battaglione (circa un migliaio di uomini) della 15/ma brigata di artiglieria motorizzata dalla regione meridionale di Rostov sul Don, al confine con l’Ucraina orientale. Ad una mossa distensiva ha fatto seguito una mossa irritante agli occhi di Kiev, ossia lo sbarco in Crimea del premier Medvedev e di alcuni suoi ministri per discutere lo sviluppo socio-economico della penisola: l’Ucraina ha protestato con una nota ufficiale, ma per Mosca l’annessione è ormai un processo irreversibile, una materia esclusa da qualsiasi negoziato. Per usare le parole del vicepremier Dmitri Rogozin, “la Crimea è nostra e basta”. Del resto Lavrov era stato chiaro alla tv russa: “Se l’Occidente vuole accettare il governo di Kiev, frutto di un colpo di Stato, allora deve accettare anche quello che è successo in Crimea, tanto più che è espressione della volontà popolare”. Quali sono allora i nodi su cui stanno negoziando Russia e Usa tentando di coinvolgere Kiev? Lo scioglimento delle organizzazioni paramilitari legate al Maidan, a partire da quella di estrema destra Pravi Sektor, e una riforma costituzionale che trasformi il Paese in una federazione per dare più potere alle regioni russofone del sud-est, consentendo loro di usare il russo come seconda lingua ufficiale e di eleggere il proprio governatore, ora nominato da Kiev. Solo così, secondo Mosca, le presidenziali potranno avere una loro legittimità. Ma il presidente ucraino ad interim Oleksandr Turcinov boccia l’ipotesi federalista: “Al momento non ci sono i pre-requisiti in Ucraina per il federalismo. L’Ucraina è uno Stato unitario”. “Il governo russo dovrebbe occuparsi dei problemi della Federazione russa, e non dei problemi dell’Ucraina”, ha aggiunto sdegnato. La proposta russa è stata bocciata anche da Petro Poroshenko, l’oligarca filo Maidan ora grande favorito per le presidenziali. “L’Ucraina era, è e sarà uno stato unitario”, ha assicurato, rivendicando la restituzione della Crimea e rilanciando il processo di integrazione europea ma dicendosi pronto ad un “dialogo trasparente” con Mosca. (Claudio Salvalaggio/Ansa)

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