Mosca: la Nato rispolvera linguaggio da guerra fredda

MOSCA. – E’ guerra di nervi sulla crisi ucraina tra il Cremlino e l’Occidente, con toni e mosse da guerra fredda dopo l’entrata in scena della Nato, che ha congelato la cooperazione civile e militare con la Russia e deciso di rafforzare la propria presenza nell’Europa dell’est. Mosca ha reagito negativamente, ma ha manifestato anche sarcasmo e scetticismo sull’efficacia e sulla durata delle iniziative dell’Alleanza. Il capo della diplomazia russa Serghiei Lavrov ha telefonato al segretario di Stato Usa John Kerry per denunciare che le decisioni della Nato “non favoriscono un ampio dialogo ucraino per promuovere la concordia nazionale su basi accettabili da tutte le regioni”. “La preoccupazione c’è”, ha ammesso il capo dell’amministrazione presidenziale, Serghiei Ivanov, già ministro della Difesa. “Ma bisogna capire che cos’è questo rafforzamento militare e quanto corrisponda alla realtà, perché adesso si parla molto e ci sono fiumi di parole ma spesso dietro non c’é alcun fatto reale”, ha notato. Ironico il vicepremier Dmitri Rogozin, finito nella blacklist Usa e Ue: “La Nato ha deciso di congelare la cooperazione con la Russia sino a giugno. E questo è stato annunciato il primo aprile”, ha twittato, ricordando che “l’ultima volta (nel 2008, dopo la guerra con la Georgia, ndr) si erano gelati tre mesi e prima di dicembre si erano scongelati: che dire, è la guerra fredda, gelano”. Sulla stessa lunghezza d’onda l’ambasciatore russo presso la Nato, Aleksandr Grushko: “Alla Nato si sono risvegliati gli istinti di base della guerra fredda, e influenzano sulla retorica: l’Alleanza è in pericolo”. Insomma, Mosca, pur preoccupata, pensa più ad un bluff, ad una retorica da guerra fredda, che ad una chiusura epocale. Ma la Nato continua a stuzzicare il Cremlino. Il comandante supremo delle forze alleate in Europa, il generale Philip Breedlove, ammonisce che le truppe russe “sono pronte” ad entrare in Ucraina e “potrebbero attuare i loro obiettivi in 3-5 giorni”. Preoccupazioni “condivise” dal segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen: “Non abbiamo visto alcuna riduzione significativa” delle forze russe lungo la frontiera ucraina. In caso di blitz, aggiunge, si tratterebbe di un “errore storico, che porterebbe ad un ancor più grande isolamento” di Mosca e avrebbe “conseguenze di vasta portata nelle relazioni tra Russia e mondo occidentale”. Rasmussen ha inoltre infierito definendo l’ex repubblica sovietica della Georgia un “possibile modello per la regione”, un Paese sulla “buona strada per realizzare la sua scelta sovrana di integrazione europea ed euro-atlantica”. Come se non bastasse, all’indomani dell’aumento del prezzo del gas russo per Kiev, Kerry ha ammonito che “nessun Paese dovrebbe usare l’energia come arma politica o strumento di aggressione”. Mosca ha ricevuto anche un altro assaggio delle sanzioni Usa: il blocco da parte della banca americana Jp Morgan di un trasferimento di soldi dall’ambasciata russa di Astana all’assicurazione Sogaz, controllata dalla banca Rossia, finita nella blacklist degli Stati Uniti. Ma ha minacciato rappresaglie sulle rappresentanze diplomatiche Usa in Russia. Mentre la guerra fredda prosegue a colpi di sanzioni e minacce, sull’opinione pubblica russa si fanno sentire i primi effetti della propaganda del Cremlino: crolla la già scarsa popolarità degli Usa, ma anche della Ue. Secondo un sondaggio dell’istituto indipendente Levada, l’atteggiamento negativo dei russi verso gli Stati Uniti è salito dal 44% di gennaio al 61% di fine marzo, mentre quello verso l’Unione Europea è passato dal 34% al 53%. Quest’ultimo è “il peggior risultato nella storia dei nostri sondaggi”, ha sottolineato il vice direttore del Levada, Alexiei Grazhdankin. Intanto Kiev, dopo aver sciolto i gruppi paramilitari del Maidan, accusati di neonazismo dalla Russia, si è giocata un’altra carta per togliere al Cremlino un argomento di contestazione: il governo ha annunciato una riforma che punta ad un maggiore decentramento del potere che aumenterà l’autonomia delle regioni, ma senza fare dell’Ucraina uno Stato federale come chiesto dalla Russia. E Petro Poroshenko, l’oligarca filo Maidan grande favorito alle presidenziali del 25 maggio, ha rassicurato che l’ingresso di Kiev nella Nato non è in agenda, essendo a favore solo il 39% della popolazione. (Claudio Salvalaggio/Ansa)