La giornata politica: Forza Italia rischia di restare acefala per molti mesi

ROMA. – A ventiquattro ore di di distanza, Matteo Renzi ha seguito le orme della regina Elisabetta sull’asse Quirinale-Vaticano. Ma se il colloquio con Papa Francesco è stato strettamente privato come quello della testa coronata inglese, l’incontro del premier con Giorgio Napolitano – ufficialmente dedicato a riforme e Def – ha avuto certamente risvolti politici più impegnativi. Il Rottamatore è infatti certo di avere in mano le carte giuste per fare approvare il suo Piano di riforme; ed è anche sicuro che l’accordo con Silvio Berlusconi, che garantisce la”copertura” al Senato contro la dissidenza interna del Pd, reggerà alla prova dei fatti. Si tratta tuttavia di una certezza con qualche rischio. Non è tanto la cosiddetta ”agibilità politica” del Cavaliere a preoccupare Colle e palazzo Chigi (la sentenza per la pena accessoria da comminare al leader di Fi è ormai in dirittura d’arrivo), quanto la tenuta dell’intero movimento azzurro. I sondaggi, infatti, segnalano la possibilità che Forza Italia alle europee subisca il sorpasso del Movimento 5 Stelle, lasciando a Beppe Grillo la posizione di leader del secondo partito italiano (se non del primo come auspicano i suoi). Si tratterebbe con ogni evidenza di uno smottamento capace di trasformare tutto il centrodestra, con esiti imprevedibili per il cammino delle riforme. Forza Italia rischia di restare acefala per molti mesi. Senza un successore designato di Berlusconi, né un leader capace di raccoglierne rapidamente l’eredità. E’ in questi momenti che si capisce la gravità della rottura con Angelino Alfano, il delfino in pectore che adesso marcia alla testa di un’area centrista (insieme a Udc e popolari) per far nascere una sorta di Ppe italiano. In qualche modo il Cavaliere sembra ostaggio di una classe politica che non ha ancora proposto una credibile exit strategy: far naufragare la riforme, come all’epoca della bicamerale di Massimo D’Alema, potrebbe rivelarsi un pericoloso replay che finirebbe per allineare il partito all’oltranzismo euroscettico, ma con munizioni inferiori a chi quel terreno lo calca da tempo (M5S e Lega); candidare una delle figlie prive di esperienza politica alla testa delle liste non piace ai colonnelli e ha il sapore del potere dinastico; andare avanti con la protesta contro il ”golpe” della magistratura non scalda il cuore di un’elettorato che resta nella sostanza moderato e pragmatico. Il rischio è quello di sprofondare sotto il 20 per cento, livello mai raggiunto da Fi. Dunque le preoccupazioni sono fondate. Per ora Renzi non può che proseguire come un ”rullo compressore” in attesa di vedere come si metteranno le cose. Il primo tentativo è di riassorbire la dissidenza interna, dividendo la prassi politica dall’ intellighenzia. Come dice Maria Elena Boschi, ministro delle Riforme, certi professori le bloccano da 30 anni: ma non tutti, perché ”ci sono molti validi costituzionalisti che sostengono il nostro progetto”. Oggi queste riforme (Senato, titolo V e abolizione del Cnel) non sono più rinviabili. Renzi aggiunge che non c’è nessun margine per ripensare il fatto che il Senato delle autonomie non sia elettivo. Per il momento la minoranza interna insiste sul ddl Chiti che invece prevede due rami del Parlamento ridimensionati ed entrambi elettivi ma la sensazione è che ci sia ancora un margine di negoziato, soprattutto se Berlusconi dovesse sfilarsi dal patto con il Rottamatore. Del resto, ragiona la Boschi, Rodotà negli anni Ottanta era favorevole all’abolizione del Senato… Ad aiutare il premier c’è comunque il nuovo scenario europeo. La decisione della Bce di procedere in una massiccia immissione di liquidità sul mercato, come hanno fatto gli Stati Uniti con i ”quantitative easing”, dovrebbe arginare i pericoli deflazionistici e sostenere la ripresa troppo lenta di Eurolandia. Ciò significa che ci sarà spazio, nel semestre italiano di presidenza Ue, per le proposte di aggiustamento del governo italiano che finora ha rispettato tutti i parametri a differenza di altri Paesi. La vera partita si giocherà dopo giugno, sempre che Renzi sia in grado di difendere i suoi numeri in Parlamento. (di Pierfrancesco Frerè/Ansa)

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