Caso Genco: Capitano Palazzo: “8 anni sulle tracce del boss latitante”

CARACAS – Minuzioso, attento, paziente. Ma, soprattutto, ostinato. Non c’è altro modo per definire il capitano dei Carabinieri Paolo Palazzo. E’ stato, infatti, grazie alla sua perseveranza che si è arrivati alla cattura recente di Vito Genco, il boss del clan Cuntrera-Caruana deportato in Italia nei giorni scorsi. Come un segugio ne ha seguite le tracce che sembravano perdersi tra Canada, Stati uniti e America Latina. Ha ricostruito con minuziosa pazienza il rompicapo fino ad arrivare alla pista venezuelana.

– Ho cominciato ad occuparmi del caso nel 1995 – racconta alla ‘Voce’, tornando indietro negli anni e frugando tra i ricordi -. Il 5 marzo del 1994, nell’ambito dell’Operazione Cartagine, a Borgaro Torinese, in provincia di Torino, è stato sequestrato un container con 5 mila 500 chilogrammi di cocaina… 5 tonnellate e mezzo.

E’ stato il più grande sequestro di polvere bianca fatto a quel tempo in Europa: il traffico era legato al clan Cuntrera-Caruana, una famiglia agrigentina. Grazie all’Operazione Cartagine sono stati arrestati numerosi malavitosi.

– Io – spiega il capitano dell’Arma – facevo parte del Raggruppamento Operativo Speciale; del Ros dei Carabinieri. Seguii tutte le indagini e collaborai con le autorità canadesi. Infatti, Alfonso Caruana, che risultò implicato nel traffico di droga, viveva stabilmente in Canada.

Genco, prosegue nel suo racconto Palazzo, “coinvolto nell’Operazione Cartagine è stato catturato e portato in prigione”. Ma nel 1995, dopo l’assoluzione in primo grado e la scarcerazione ha fatto perdere le sue tracce. E’ diventato uccel di bosco. Nel processo d’appello gli investigatori dell’Arma hanno portato nuove prove relative al coinvolgimento del boss nel traffico di cocaina.

– Vito Genco era latitante – spiega – ma il processo proseguiva ugualmente. È stato condannato a 21 anni di reclusione per traffico internazionale di droga.

Palazzo lascia il Ros, si occupa di altre cose in seno all’Arma, ma non dimentica. E, come spesso accade a chi è poliziotto per passione, continua le sue indagini. Dopo alcuni anni torna a rileggere il dossier e con la collaborazione della polizia canadese e nordamericana riesce a metter su sufficienti elementi che gli permettono di ipotizzare la presenza del boss in Venezuela.

– Punto. Nient’altro – confessa -. A questo punto non riuscivo più ad andare avanti. Essendo venuto a conoscenza, attraverso alcuni colleghi, che a Caracas il responsabile dell’ufficio antidroga era una persona veramente in gamba, ho deciso di contattarlo. Chiamai il dottor Mazza ad agosto del 2012. Gli dissi: “Questo è il dossier. Ci sono tutte le informazioni. Più di questo non riesco a fare”.

Detto e fatto. Ci dice che il “dottor Mazza ha saputo valorizzare le informazioni che gli erano state trasmesse e ne ha aggiunte altre”.

– E’ riuscito – prosegue – a identificare il falso-vero nome. Noi non abbiamo mai smesso di indagare. Da parte mia, l’indagine è andata avanti per 7, 8 anni.

Sottolinea l’importanza della collaborazione tra l’Arma e la Polizia di Stato e del lavoro svolto assieme.

– E’ stata una ricerca lunga, delicata, difficile – aggiunge -. Abbiamo messo assieme con pazienza frammenti di informazione. Non sapevamo dove fosse. Vito Genco era un capo del clan Cuntrera; una famiglia dedita al narcotraffico con agganci e aiuti in tutto il mondo. E’ stato difficile raccogliere informazioni tra Canadà e Stati Uniti, analizzarle, metterle assieme. Insomma, ricostruire il rompicapo che ci ha permesso di arrivare alla pista venezuelana. Forse neanche Genco, dopo 20 anni di latitanza, immaginava che ci fosse ancora qualcuno che pensava a lui. Ma l’oblio su queste cose non esiste.

– Continuerete a indagare per capire cosa sia accaduto in questi 20 anni e in quali ambienti si sia mosso il boss? Chi lo ha aiutato?

– Cercheremo di capire, di scoprire come sia riuscito a trascorrere tanti anni libero in Venezuela – assicura -. Qualcuno certamente lo ha aiutato.

– Mafia, n’drangheta. Negli ultimi mesi il Venezuela sembra interessare sempre più alla delinquenza organizzata italiana. Pensate che il boss, uno dei più ricercati dalla Giustizia italiana, possa aver ricevuto aiuti da membri della comunità italiana residente in Venezuela?

– Vito Genco è siciliano – commenta -. Che qualche paesano, qualche corregionale, qualche italiano emigrato in Venezuela lo abbia aiutato è una delle ipotesi… una pista. Diciamo pure che c’è interesse nel cercare di capire come possa aver vissuto 20 anni tranquillo; come sia stata la sua latitanza.

Mauro Bafile

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