Sos dell’Onu sui diritti umani nell’est Ucraina

ROMA – “Assassinii, torture, rapimenti e intimidazioni” contro civili, politici ucraini locali e giornalisti e un bilancio di 127 morti, fra cui molti semplici civili: una situazione di violenza e di degrado “allarmante” dei diritti umani viene denunciata nel travagliato est dell’Ucraina in un rapporto dell’Onu presentato a Ginevra, che ha innescato una reazione furiosa della Russia. Secondo Mosca il documento “manca totalmente di obiettività”, punta il dito contro una parte sola e costituisce solo un tentativo dell’Occidente di “ripulire” le responsabilità dei governanti di Kiev, dei quali i russi non riconoscono la legittimità.

Sulla scia del rapporto, l’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Navi Pillay, ha lanciato un pressante appello ai responsabili delle forze in campo perché “facciano tutto quanto è in loro potere per mettere il freno quelle persone che sembrano determinate a lacerare” l’Ucraina, dove anche, sul campo, militanti filorussi hanno preso il controllo di una caserma della Guardia nazionale di Kiev a Donetsk.

Il lavoro dei 34 osservatori dell’Onu, che hanno monitorato la situazione sul campo nel periodo fra il 2 aprile e il 6 maggio – coordinati dal segretario aggiunto delle Nazioni Unite, il croato Ivan Simonovic -, conclude che sul campo sono morte 127 persone fra militari regolari ucraini, separatisti filo-russi e semplici civili in “violenti scontri” per il controllo dei territori dell’est del Paese.

E’ su questo sfondo che domenica scorsa si è tenuto il controverso, plebiscitario referendum sulla secessione da Kiev, non riconosciuto dall’Occidente, delle due province del Donbass, Lugansk e Donetsk, e che domenica 25 sono programmate elezioni presidenziali promosse dal governo di Kiev. Il rapporto Onu rappresenta poi un’altra situazione, quella della Crimea, dove viene puntato l’indice contro quella che viene definita una politica “discriminatoria”, di “intimidazioni e persecuzioni” nei confronti della minoranza musulmana dei Tatari. I quali domenica commemorano il 70/o anniversario della loro deportazione ad opera di Stalin, che li accusò di collaborazionismo con gli invasori nazisti, e denunciano come le nuove autorità di Simferopoli abbiano negato il permesso a un loro leader, Mustafa Dzhemilev, di rientrare per l’evento.

Un riferimento, quello contenuto nel rapporto, che ha sollevato la reazione dello stesso leader del Cremlino, Vladimir Putin, secondo il quale i tatari “in nessun caso devono diventare la moneta di scambio nella disputa fra Ucraina e Russia”. Ma l’attacco più duro al documento nel suo insieme porta la firma del ministero degli esteri di Mosca per la sua mancanza totale di obiettività, le sue contraddizioni ributtanti e il suo ricorso a due pesi e due misure”, come ha tuonato il portavoce Aleksandr Lukashevic. Per Mosca, che polemizzano direttamente con Simonovic, imputandogli di non essersi mostrato imparziale anche in passato, il testo ignora “le più brutali violazioni dei diritti umani commesse dalle auto-proclamate autorità di Kiev” e omette di citare esplicitamente alcuni fatti gravi di sangue, come la morte di almeno una quarantina di filorussi nell’incendio di un edificio a Odessa, sul Mar Nero. Una parzialità che, secondo la Russia, “non lascia alcun dubbio sul fatto che i suoi autori hanno eseguito un ordine politico di ‘ripulire’ le autoproclamate autorità di Kiev”.

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