L’attacco del generale Haftar, epilogo scontato per il dopo-Gheddafi

ROMA  – La drammatica e sanguinosa partita che si sta giocando in queste ore nelle strade delle principali città della Libia, e che sembra avere colto di sorpresa molte delle cancellerie occidentali per l’ampiezza della sua portata è la conseguenza scontata di un clima che, instauratosi il giorno dopo la fine di Muammar Gheddafi, ha sempre fatto camminare il Paese sull’orlo del baratro.

L’evoluzione della crisi libica, con la ricomparsa in scena del controverso generale Khalifa Haftar, è figlia di più situazioni che possono essere sintetizzate nel concetto di “balcanizzazione” del Paese, ormai frazionato in micro-entità in mano a questa o quella milizia, a loro volta espressione degli interessi più disparati che vanno dallo sfruttamento dei giacimenti energetici all’affermazione di un modello politico-statuale di impronta islamica, alla concretizzazione di sogni di indipendenza cullati da decenni all’ombra delle diversità culturali.

In questo senso Haftar, pur senza apparente spessore politico e militare, appare come ‘l’uomo giusto al momento giusto’ perché, pochissimo accreditato da tutti quelli che non fanno parte del suo entourage, ha fatto improvvisamente irruzione sulla scena politica internazionale con un’iniziativa che ne ha sottolineato le potenzialità e che ha giustificato con la formula di sempre:

– Sono intervenuto per rispondere all’appello del popolo.

La Libia post-Colonnello è stata ed é un immenso supermarket di armi a cielo aperto, attingendo agli stracolmi arsenali delle forze armate ed alimentando, con esse, appetiti ed ambizioni nell’intera regione maghrebina. Haftar, in questo senso, è l’emblema di questo stato di cose, poiché ha dimostrato che un militare dalle qualità ai più nascoste quando non negate, con i giusti argomenti (eliminazione delle milizie islamiche e, quindi, degli sponsor in seno al governo di Ahmed Miitig) può ottenere consensi ed appoggi.

Il fatto stesso che le truppe che si oppongono agli integralisti islamici abbiano attaccato contemporaneamente a Tripoli e Bengasi conferma che non si tratta più di una delle tante esplosioni di violenza di questa o quella milizia, ma di qualcosa di più ampio, programmato e complesso. Le milizie, da parte loro, sono l’emblema della Libia di oggi, nate qua e là nel Paese a difesa di interessi particolari e che lo Stato ha cercato di neutralizzare con la discutibile politica dell’inglobamento nelle forze armate, legittimandone quindi l’operato e le ambizioni. Per tutti valga l’esempio delle milizie di Zintan che, da moltissimi mesi, hanno nelle loro mani Seif al-Islam Gheddafi, che non hanno consegnato all’autorità centrale, quasi a rimarcare l’esistenza di più ‘giustizie’ nell’ambito dello stesso Paese.

A margine resta solo una considerazione sulle priorità che i governanti di Tripoli hanno e nelle quali, c’è da scommetterci, non si trova certo quella di frenare l’assalto di decine e decine di migliaia di disperati che premono sulle coste libiche per cercare di arrivare in Europa, passando dall’Italia.

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