Elezioni Europee: Verhofstadt, il liberale campione del federalismo

BRUXELLES – Basta col metodo Barroso delle “telefonate a Berlino e Parigi” prima di prendere iniziative europee. A Bruxelles deve tornare il “metodo Delors”. A rispolverare il mito del socialista francese che da presidente della Commissione dettava la linea alle capitali e tra il 1985 ed il 1995 fece grande l’Unione europea, impostando la nascita del mercato unico e dell’euro, è Guy Verhofstadt, l’ex premier belga di lungo corso candidato dei liberal-democratici e campione dei federalisti europei.

In anni di eurocritica dilagante, Verhofstadt punta deciso “agli Stati Uniti d’Europa”. E’ “più integrazione europea”, non un ritorno indietro ai nazionalisti anti-euro (“uscirne sarebbe una catastrofe”), la sua migliore risposta possibile alla crisi. Nei 10 punti del suo programma lo dimostra con tabelle e grafici.

Nato nel 1953 a Dendermonde, nella regione di Gand nelle Fiandre, figlio di un consulente giuridico del sindacato liberale e di una casalinga, fratello di Dirk, pensatore del liberismo sociale, Verhofstadt arriva alla politica giovanissimo. Tifoso di ciclismo, appassionato di Italia (ha una fattoria in Umbria dove produce vino), gli amici di una vita lo ricordano “chiacchierone” e “ribelle” come la sua frangetta bionda sin dai primi anni di scuola.

A 19 anni entra alla facoltà di legge all’Università di Gand, ma il vero impegno è quello di presidente dell’associazione degli studenti liberali. Notato dal presidente del Pvv, Willy De Clercq, a 29 anni Guy diventa il più giovane segretario nella storia del partito liberale fiammingo. Che trasforma profondamente, arrivando nel 1991 a cambiarne il nome in Vld (‘Liberali e democratici fiamminghi – Partito dei cittadini’).

Si guadagna il soprannome di “baby Thatcher”, ma poi perde la prima battaglia elettorale con i cristiano-democratici. Nel ’97 torna alla presidenza del partito e due anni dopo il suo Vld vince. Così Verhofstadt diventa il primo premier belga liberale dal 1938. Resta in sella fino al 2008. Già nel 2004 era candidato alla successione di Romano Prodi come presidente della Commissione, ma fu stoppato dai ‘no’ di Blair e Berlusconi.

Nel 2009 arriva al Parlamento europeo, dove diventa capogruppo dei liberal-democratici Alde. Famoso per la verve polemica ed il gusto della battuta, Verhofstadt combina ricette economiche liberali che lo avvicinano spesso al centro-destra e lotte per i diritti civili in cui è alleato del centro-sinistra.

In questa campagna il suo programma punta ad una Commissione che sia “vero governo” della Ue. Che imponga il rispetto delle regole sui conti pubblici e per la riduzione del debito che – cresciuto di circa il 40% tra 2008 e 2013 – considera “la vera causa della crisi”. Sostenitore degli Eurobond e della mutualizzazione del debito che la Germania invece esclude, in alternativa si dice pronto a proporre il lancio di “Future Bond” per finanziare gli investimenti nelle reti e nelle infrastrutture europee. Poi, difesa assoluta della privacy europea, sviluppo dell’industria digitale (“serve un Google europeo”), lotta alla burocrazia di Bruxelles, meno “regolamenti inutili” più “politiche comuni” sulla difesa, sull’immigrazione legale (con definizione di quote “sul modello di Usa, Canada e Australia”), per la diversificazione dell’approvvigionamento energetico e per sviluppare la mobilità interna del lavoro. E polso fermo in politica estera, dove considera la crisi ucraina e la sfida di Putin un “banco di prova” per la Ue.

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