La Giornata Politica: cresce il nervosismo

ROMA – Matteo Renzi si sente, per sua stessa ammissione, costretto su un ring in cui si gioca tutto sulla rabbia. E’ una posizione scomoda perché non è facile sottrarsi ad un incontro di wrestling politico chiedendo di giocare una partita a tennis. Grillo e Berlusconi non hanno nessuna voglia di consentirglielo, ben sapendo che i propri elettori pretendono risposte più radicali di una schermaglia con la Merkel al Parlamento europeo.

Il Rottamatore non accetta il corpo a corpo, arte in cui i suoi avversari sembrano più versati. Dice che l’Ue non ha bisogno di pagliacciate e punta tutto sul programma di governo e sullo sblocco del patto di stabilità. Tuttavia nelle sue parole si coglie una punta di allarme quando assicura che, se il Pd dovesse finire sotto il 30 per cento, non sarà una sconfitta perché per i democratici l’importante è diventare il primo gruppo del centrosinistra europeo. Sono obiettivi minimali che tradiscono il timore del pareggio o, peggio, del sorpasso da parte dei 5 stelle.

Bisogna riconoscere che queste difficoltà sono anche figlie di un atteggiamento che a Grillo ha perdonato fin troppo. Se è vero che le parole sono pietre, c’è da chiedersi che cosa sarebbe accaduto se le stesse espressioni del leader del M5S (dalla lupara bianca a Hitler e ai tribunali del web) fossero state usate dal Cavaliere. E’ un tema che la sinistra prima o poi dovrà affrontare, anche perché c’è chi pensa sempre alla possibilità di un accordo con i grillini dopo le elezioni, a dispetto dei tanti tentativi di dialogo attuati da Bersani e da Letta e regolarmente respinti con una certa acrimonia.

Ma Renzi sconta anche una campagna elettorale in cui il vecchio establishment democratico non sembra appoggiarlo con piena convinzione. Letta per esempio ha invitato a votare Pd contro il rischio populismo e non per sostenere le innovazioni renziane. Sono scricchiolii che potrebbero avere un peso nell’ urna, sebbene un po’ tutti giudichino il ”populismo”, cioè l’euroscetticismo, un rischio molto serio (da Napolitano a Marchionne fino al governo Usa, come ha detto Laura Boldrini).

Un rischio che ha messo nuovamente in altalena lo spread (per un momento è stata sfondata quota 200) e innervosito i mercati. Molto dipenderà, come dice il premier, da quanti andranno a votare. Cioè da quale sarà l’area dell’astensionismo (che in alcuni sondaggi sfiora il 50 per cento). Un’area grigia nella quale l’incertezza la fa da padrone e che non è molto rassicurante per l’esecutivo: chi è rimasto favorevolmente impressionato dai suoi primi passi, infatti, dovrebbe aver già deciso il proprio voto. Più facile che in quest’area si annidi la protesta antisistema o la delusione di chi non sa ancora come comportarsi: è su questo elettorato che Grillo e Berlusconi indirizzano le loro speranze, cittadini che è più difficile recuperare al voto per il Pd.

Nella sua battaglia campale, il Rottamatore è affiancato da un’area centrista in chiara difficoltà, sebbene Alfano non ritenga a rischio il quorum dopo il caso Romano e si presenti come il fulcro di stabilità della maggioranza. Anche Forza Italia stenta a trovare una propria identità autonoma dal Cavaliere il quale paradossalmente, polemica con ”l’assassino” Grillo a parte, tende anche lui, come Alfano, ad accreditarsi come l’uomo che garantirà la tenuta del quadro politico – nel caso di una valanga grillina – attraverso le larghe intese. L’unico che appare in piena accelerazione è il Movimento 5 Stelle. Il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio fa sapere che con il voto delle europee il M5S chiede un’opportunità di governo (Casaleggio non esclude di poter essere ministro insieme a Grillo). C’è da chiedersi come ciò si concili con l’intenzione del leader genovese di processare nei tribunali del web politici, industriali e giornalisti: a meno che anche lui punti, come il Berlusconi d’antan, al famoso 51 per cento dei voti…

Pierfrancesco Frerè

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