Obama: “Non è più tempo di guerre”

NEW YORK – “Il fatto che abbiamo il martello migliore non vuol dire che ogni problema è un chiodo”: è la metafora a cui ricorre Barack Obama per spiegare la sua politica estera, quella con cui vuole chiudere definitivamente con l’era del ‘post 11 settembre’ e con tredici anni di guerre pagate a caro prezzo.

Bersagliato dalle critiche per la sua presunta debolezza e mancanza di leadership nel mondo, il presidente americano sceglie ancora una volta l’Accademia militare di West Point per delineare la sua strategia, respingendo l’idea dell’interventismo a tutti i costi ma anche quella di un nuovo isolazionismo. A West Point parlò nel 2009, annunciando l’invio di 30.000 soldati in Afghanistan. Stavolta si presenta agli oltre mille cadetti – schierati nella tradizionale divisa bianca e grigia – il giorno dopo un importante annuncio: entro il 2016 tutte le truppe americane nel Paese asiatico torneranno a casa.

Si chiude dunque un’epoca, e Obama ribadisce con forza come la politica estera degli Stati Uniti deve fare i conti con un mondo che è cambiato e con le nuove sfide lanciate dal terrorismo internazionale. Sfide che – mette ancora una volta in chiaro – non possono essere affrontate avendo come priorità l’intervento militare. Perchè se al Qaida è stata decimata in Afghanistan, oggi la minaccia dei gruppi estremisti è più diffusa e va dal Medio Oriente al Sahel fino ad alcune aree dell’Asia.

– Il terrorismo resta, ma una strategia che prevede l’invasione di ogni Paese che dà asilo ai terroristi sarebbe ingenua e insostenibile – afferma Obama, per il quale è più sensato usare le risorse a disposizione per sostenere gli sforzi diplomatici e per finanziare missioni antiterrorismo mirate, piuttosto che per intraprendere nuove guerre. Questo non vuol dire non dover mostrare i muscoli quando serve, assicura Obama, per il quale “gli Stati Uniti useranno la forza militare, anche unilateralmente, se necessario. E non chiederanno mai il permesso a nessuno se i suoi interessi saranno in pericolo e i suoi cittadini minacciati.

– Ma sbaglia – insiste – chi dice che l’intervento militare è l’unica via per evitare di apparire deboli.

Le critiche sul modo di gestire soprattutto le crisi in Siria e in Ucraina non gli vanno proprio giù. Così Obama si toglie più di un sassolino dalla scarpa.

– L’America raramente è stata così forte rispetto al resto del mondo. E quelli che parlano di declino e di mancanza di leadership – attacca – travisano la storia e fanno solamente un gioco di parte.

Non e’ vero, dunque, per il presidente che il ruolo degli Stati Uniti è diminuito:

– L’America resta e deve rimanere leader sul palcoscenico mondiale.

Il problema e come esercitare questa leadership. Obama porta ad esempio la crisi con la Russia, dove insieme agli alleati si è tenuta una linea di fermezza senza mettere a rischio altri soldati Usa.

– Dobbiamo agire collettivamente con i nostri partner, ampliando e usando tutti gli strumenti a nostra disposizione, dalla diplomazia alle sanzioni, dall’isolamento dei Paesi che si pongono fuori dalle leggi al ricorso alla giustizia internazionale. Questa – ripete Obama – è la strada che ha più chance di portare al successo, e che ci fa evitare errori pagati poi a caro prezzo.

Perciò è stato giusto non intervenire in Siria, sottolinea, annunciando l’intenzione di voler sostenere più efficacemente l’opposizione siriana “contro i gruppi terroristici e la brutale dittatura” di Assad. E per questo la Casa Bianca propone un fondo da 5 miliardi di dollari per rafforzare la lotta al terrorismo. Soldi che serviranno a “svolgere diverse missioni”: dalla formazione delle forze di sicurezza che in Yemen combattono al Qaida, al supporto a una forza multinazionale per mantenere la pace in Somalia; dal pattugliamento delle acque della Libia, alla collaborazione con le operazioni militari francesi in Mali.

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