Scontri anche alla frontiera russa. Mosca a Onu, stop operazioni

DNEPROPETROVSK (UCRAINA). – Come in un copione già scritto, i caccia militari ucraini hanno attaccato la sede del ‘governo’ dell’autoproclamata Repubblica popolare di Lugansk, con un bilancio di almeno 5 morti, tra i quali anche un ‘ministro’ dei separatisti. E i ribelli accusano Kiev di aver utilizzato bombe a grappolo. La battaglia è poi scoppiata nella zona sud della città, per la conquista di una caserma, mentre si spara, furiosamente, al confine con la Russia, dove centinaia di ribelli – affermano fonti concordanti – tentano un nuovo assalto ad alcuni posti di frontiera. Mosca conferma, e ha denunciato al consiglio Nato-Russia, “attività (militari, ndr) senza precedenti al confine” occidentale. Le sparatorie hanno scosso anche Donetsk, con la zona dell’aeroporto isolata e i residenti costretti di nuovo a barricarsi nelle cantine, o a dormire fuori per coloro che si erano recati a lavoro, dopo due giorni di fragilissima tregua nell’altra capitale ribelle dell’Ucraina dell’est. Mosca si appresta a mettere sul tavolo del Consiglio di sicurezza dell’Onu una risoluzione per chiedere lo stop alle operazioni militari e l’apertura di corridoi umanitari. Ma non sembra che la diplomazia abbia molto spazio in queste ore. Il ministero degli Esteri tuona che Kiev ha commesso “un altro crimine contro il proprio popolo”, e che il raid di ieri “viola gli accordi di aprile” e mostra “che non c’è volontà di dialogare”. Nelle regioni confinanti con il Donbass è corsa all’arruolamento: sono tanti i giovani che vogliono combattere per riconquistare pezzi di Ucraina e ripulirli “dai terroristi”. La notizia del raid aereo su Lugansk ha viaggiato alla velocità della luce sui socialnetwork, con una cronaca in tempo reale di quanto accadeva. Le bombe, il panico degli abitanti, le ambulanze con le sirene urlanti che sfrecciavano nei viali. Poi, complici sempre i social network che mostrano in Ucraina tutto il loro volto oscuro, sono iniziate a circolare le informazioni più strampalate e inverificabili, da nuovi raid a bilanci di vittime con numeri roboanti che, fortunatamente, sino ad ora non hanno trovato alcuna conferma ufficiale, anzi sono stati smentiti dai diretti interessati. Quel che è certo è che il palazzo dove ha sede il ‘governo’ separatista di Lugansk è stato colpito e danneggiato. Che le bombe hanno centrato anche un altro edificio, la sede dell’Sbu ucraino, gli 007, occupato da settimane. E che tra i morti figura anche il ‘ministro’ della Salute dell’autoproclamata repubblica popolare di Lugansk, Natalia Arkipova. Sarà invece da verificare l’accusa più grave lanciata dai ribelli a Kiev, quella di aver  lanciato “bombe a grappolo” su una zona piena di abitazioni. Le denunce di abusi e crimini di guerra si moltiplicano in questi giorni, tanto che la Croce rossa, con un comunicato siglato anche dalle delegazioni russe e ucraine, fa appello a “tutti coloro che sono coinvolti negli scontri di rispettare l’emblema della Croce Rossa e di prevenirne il suo uso improprio, affinché sia consentito a tutti gli operatori e i volontari della Croce Rossa sul campo di svolgere il loro lavoro”. “Se avessi il potere, vorrei attraversare le strade, vorrei gridare ‘shalom, shalom’…”, dice la canzone tradizionale ebraica cantata dal coro russo e quello ucraino insieme sul palco dell’Auditorium di Roma, dove andava in scena il festival europeo dei cori ebraici. La musica per la pace è un’arma, nel Donbass in tanti pregano che sia quella a sparare nelle prossime ore. (Claudio Accogli/Ansa)

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