La giornata politica: la picconata di Mario Draghi al muro dell’austerità

ROMA. – Lo scandalo del Mose, e la gelida rabbia con cui Matteo Renzi cerca di circoscriverlo, rischiano di offuscare in Italia la notizia politica più importante: la picconata di Mario Draghi al muro dell’austerità e l’avvio di una manovra di liquidità che, per la prima volta, è sostenuta anche dalla Germania. Il governatore della Bce, in sostanza, ha tratto le vere conclusioni del voto del 25 maggio, annunciando non solo un ulteriore taglio del costo del denaro ma anche un massiccio sostegno agli investimenti mirati alla crescita e un’operazione di quantitative easing simile a quelle già attuate negli Stati Uniti dalla Fed. In questo momento Draghi appare l’unica figura carismatica in grado di dominare il palcoscenico europeo e il dispiegamento di tutto l’arsenale della Banca centrale è una mossa fortemente simbolica: c’è l’intenzione di aprire un ciclo con l’adozione di strumenti non convenzionali, una scommessa sulla quale Berlino è stata costretta ad allinearsi per esorcizzare lo spettro della deflazione. Sullo sfondo, l’ incontro tra il ministro dell’Economia tedesco Schaeuble e quello italiano Padoan ha restituito l’impressione di un cambio di clima. Come dice il sottosegretario Sandro Gozi, l’Europa crede nel percorso di riforme di Renzi. E’ naturale che il premier avrebbe voluto presentarsi al tavolo del G7, svoltosi in contemporanea con la controffensiva economica della Bce, senza l’imbarazzante problema della questione morale più che mai aperta nel nostro Paese. Sarà pur vero che, come sostiene il capo del governo, l’azione della magistratura dimostra che non esistono santuari inviolabili, però è innegabile che l’Italia non riesce a liberarsi dell’ombra di Tangentopoli. Un brutto colpo alla nostra reputazione internazionale. Tale da indurre il Rottamatore ad equiparare la corruzione politica all’alto tradimento e a preannunciare un durissimo intervento legislativo che riesca a troncare una volta per tutte il rapporto tra politica e malaffare. Il Pd, che è rimasto impigliato negli scandali con molti suoi uomini di primo piano, preannuncia la linea dura come nel caso Genovese, ma i 5 Stelle hanno buon gioco nella guerra degli hastag: ”noi vinciamo poi, intanto arrestano voi” è lo slogan lanciato in rete. E tra i grillini c’è chi evoca addirittura la ghigliottina per i corrotti. I democratici hanno preso le distanze dal sindaco di Venezia, indicato dalla Lega come uomo di area renziana (”Orsoni non è iscritto al Pd”, fa sapere Luca Lotti), ma il vero problema è l’ampiezza e la trasversalità della corruzione emersa dalle indagini della magistratura. Persino nel caso di Giancarlo Galan, di cui è stato chiesto l’arresto, si avvertono le prime perplessità dei compagni di partito (”se le accuse venissero provate, sarebbe una grande delusione”, dice Mariastella Gelmini). Il democratico Massimo Mucchetti indica nel tipo di norme che il governo varerà il cuore del problema: non sembra esserci accordo, per esempio, tra Renzi e Cantone sulla revoca degli appalti o sul commissariamento delle imprese inquisite e il rinvio chiesto in commissione per attendere il testo dell’ esecutivo è stato interpretato dall’opposizione come un puro tentativo di guadagnare tempo. Le spine per il segretario-premier non vengono solo da questo fronte. Sebbene i suoi si dicano fiduciosi di chiudere presto l’intesa sulle riforme anche con Forza Italia, in Senato c’è aria di stallo. Il ministro Boschi fa sapere che, se dovesse servire, si andrà avanti a maggioranza, un monito più volte ripetuto e che adesso prende corpo. Gli azzurri, infatti, sono più che mai divisi al proprio interno sulla strategia da seguire e il Cavaliere non è ancora riuscito a fare una sintesi. Pesa la fronda di Raffaele Fitto che lo sfida – alla Renzi – a confrontarsi nel merito dei programmi invece di insistere sulle linee dinastiche; e pesa anche la difficoltà del dialogo con gli alfaniani che in fondo pongono lo stesso problema dell’ex governatore della Puglia. Anche nel campo dei 5 Stelle si cerca una sintesi politica. Le alleanze in Europa saranno decise da una consultazione sul web e la comunicazione verrà riorganizzata perché ”sono stati compiuti errori”. Resta senza risposta l’interrogativo del perché le alleanze si debbano cercare in Europa ma non in Italia. L’attesa è tutta per il giudizio che la rete darà sulle trattative del leader con la destra inglese. (Pierfrancesco Frerè/Ansa)