La giornata politica: Standard & Poor’s, preoccupa il “malato Italia”

ROMA. – La conferma del rating italiano da parte dell’agenzia statunitense Standard & Poor’s suona un po’ come un giudizio a due facce: da un lato gli americani fanno sapere che è troppo presto per promuovere il programma del governo Renzi, che pure appare incoraggiante, dall’altro ribadiscono tutte le perplessità della finanza internazionale sul ”malato Italia” le cui prospettive di guarigione sono piuttosto flebili. Ne deriva che il Rottamatore deve affidare tutte le sue speranze di ripresa economica al quadro europeo perché è un po’ come se sia stato emesso un giudizio di sospensione, in attesa di vedere come sarà caratterizzato il semestre italiano di presidenza della Ue. La manovra della Bce ha dimostrato che l’Eurotower resta decisiva nella strategia di rilancio dell’ economia europea, ma da Berlino già filtrano le prime perplessità: il presidente della Bundesbank è stato chiaro nell’ avvertire che è assurdo guardare già al secondo tempo annunciato da Mario Draghi con l’immissione di ulteriore liquidità nel sistema. Prima bisognerà vedere l’effetto sui mercati delle misure appena prese. E non sembra un caso che il governatore della Bce sia stato ”convocato” a Berlino da Angela Merkel per un incontro a porte chiuse. In questa fase al premier non resta che accelerare sulle riforme e sulla legge anticorruzione, il cui ritardo non preoccupa Raffaele Cantone se servirà a presentare un buon provvedimento. Su quest’ultimo fronte il Pd appare ancora sotto choc: troppo grande lo scandalo del Mose le cui implicazioni forse non sono state ancora tutte scontate. Pierluigi Bersani parla di ”ore di avvilimento” ricordando la figura di Enrico Berlinguer e in qualche modo sottolinea la distanza che esiste tra quella cultura, portatrice della questione morale, e i comportamenti degli amministratori odierni. E’ un problema che riguarda tutta la classe politica e che implica innanzitutto un cambio profondo di impostazione culturale. Non è solo una questione di regole, ma del modo nel quale si pensa di amministrare la res publica. Le nuove norme in gestazione da parte dell’esecutivo non servono se innanzitutto non si isolano i ladri, come dice Renzi, con ”daspo” che li espellano definitivamente dalla politica. In tal senso, Michele Emiliano si dice convinto che Cantone, presidente dell’Anticorruzione, non si presterà a fare da mantello mediatico a operazioni di facciata e che con lui sarà davvero possibile voltare pagina. Quanto alle riforme, il ministro Maria Elena Boschi annuncia di voler chiudere prima delle ferie, con un accordo esteso anche a Forza Italia. L’agenda sembra in questo momento privilegiare un’intesa sull’Italicum rimaneggiato che servirebbe anche a ribadire indirettamente la validità del patto del Nazareno; poi la riforma del Senato su cui le posizioni non sono così distanti da quelle degli azzurri, una volta cancellata del tutto la possibilità del Senato elettivo. La chiave è la tenuta di Fi: il Cavaliere teme che la fronda di Fitto possa incrinare il suo schieramento e perciò ha rilanciato la prospettiva dell’accordo con Ncd e Lega. Ma la presa del leader di Forza Italia appare comunque indebolita. Il fatto che Matteo Salvini lo abbia superato in popolarità e parli apertamente di rifondazione di un moderno centrodestra europeo è la dimostrazione della novità. Il segretario leghista, alla ricerca della nuova identità, sta per confluire in Europa nello stesso gruppo di Marine Le Pen: mossa indigeribile per gli alfaniani perché sottende quella strategia antieuro che è agli antipodi della filosofia del Ncd. Per la prima volta lo scenario europeo si sta dimostrando in grado di condizionare in modo decisivo la politica interna italiana. Le potenziali collocazioni nel Parlamento di Strasburgo dividono anche Sel, combattuta tra la novità della sinistra di Tsipras e la famiglia socialista, e il Movimento 5 Stelle. Il tentativo di aprire un dialogo con i Verdi da parte di Grillo spacca francesi e tedeschi e la stessa base dei grillini. Sulla possibile alleanza con Farange, sarà la rete a dire l’ultima parola: ma l’insistenza con cui Grillo ripete che l’Ukip non è un movimento di destra fa capire che un’ eventuale bocciatura di questa scelta aprirebbe una crepa profonda nel M5S, sconfessando il tandem che lo guida. Paradosso di un’Europa che Grillo vuole sconfiggere e che invece potrebbe finire per metterlo sotto accusa. (di Pierfrancesco Frerè/Ansa)

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