Ucraina: lutto per strage soldati. Ripresi negoziati gas

MOSCA. – Bandiere a mezz’asta in Ucraina. Il presidente Petro Poroshenko ha indetto per oggi una giornata di lutto nazionale, dopo che nella notte tra venerdì e sabato i separatisti hanno fatto una strage abbattendo nei cieli di Lugansk un aereo cargo con a bordo 49 militari. Nessuno si è salvato, e dopo questa carneficina il leader ucraino ha chiesto all’Occidente di inasprire le sanzioni contro Mosca, accusata da Kiev di armare i miliziani filorussi. Una flebile speranza arriva intanto dalla capitale ucraina dove stasera riprendono i delicati negoziati a tre tra Russia, Ucraina e Ue sulla questione del gas, ma le già tese relazioni bilaterali fra i due maggiori Paesi ex sovietici sono state ulteriormente inasprite da una violenta protesta ieri davanti all’ambasciata russa a Kiev e soprattutto da una frase non proprio lusinghiera nei confronti dello ‘zar’ Putin da parte del ministro degli Esteri ucraino, Andrii Deshizia, che si era recato sul posto per cercare di calmare i dimostranti e ha invece fatto indignare Mosca ancora di più. Il leader del Cremlino è ormai il nemico numero uno della piazza nell’Ucraina centro-occidentale. L’opinione pubblica ucraina non gli perdona l’annessione alla Russia della Crimea e il presunto sostegno logistico e militare ai separatisti dell’Ucraina orientale. A sostenere che Mosca armi i miliziani c’è prima di tutto il governo di Kiev, ma anche la Nato nel fine settimana ha pubblicato delle immagini satellitari che sembrano confermare le responsabilità russe nel supposto ingresso in territorio ucraino di tre vecchi tank di epoca sovietica e altri mezzi militari. E così ieri, dopo la terribile notizia dell’abbattimento del cargo militare, circa 300 persone si sono radunate davanti all’ambasciata russa per protestare contro la politica del Cremlino con cartelli come “Russia assassina” e “No alle trattative con Putin”. Ma presto la manifestazione è degenerata, e al lancio di uova è seguito quello di mattoni contro le finestre dell’edificio, è stata strappata la bandiera dall’ingresso dell’ambasciata, ed è persino scoppiato un piccolo incendio – subito domato dai pompieri – dopo il lancio di una molotov. Inoltre, i dimostranti hanno ribaltato diverse auto del corpo diplomatico russo, e probabilmente la loro intenzione era quella di irrompere nell’edificio. Tanto che lo stesso capo della diplomazia ucraina, Andrii Deshizia ha giustificato la sua poco diplomatica frase su Putin (“è uno stronzo”) dicendo che “era l’unico modo per calmare le persone”. Per Mosca non è evidentemente una scusa sufficiente: le autorità russe si dicono indignate per quanto avvenuto e il presidente della commissione Esteri della Duma Alexei Puchkov ha scritto su Twitter che “Poroshenko dovrà cambiare il suo ministro degli Esteri” visto che “non si sa controllare”. A rincarare la dose ci ha pensato il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov che ha accusato il suo omologo ucraino di aver “superato i limiti della decenza” e i manifestanti di volere che fosse “versato del sangue”. E del resto anche Washington ha chiesto a Kiev di rispettare la Convenzione di Vienna che obbliga gli Stati a difendere la sicurezza degli edifici diplomatici. E il governo ucraino ha risposto annunciando l’arresto di tre persone. Sul fronte del gas ieri i negoziati a tre non hanno portato a nessun risultato, ma stasera si ritenta quando mancano ormai poche ore alla scadenza (domattina) di un ultimatum russo all’Ucraina per pagare 1,95 miliardi di dollari: parte del debito che Kiev ha accumulato per il gas russo. L’Ucraina punta a ridurre il salatissimo prezzo impostogli dalla Russia dopo che a Kiev si è insediato un governo filo-occidentale e ha già rifiutato la proposta di Mosca di ridurre la tariffa da 485 a 385 dollari per mille metri cubi. Se Kiev non pagherà, la Russia introdurrà un regime di pagamenti anticipati e potrebbe anche decidere di chiudere i rubinetti del gas. Una minaccia questa che fa tremare anche l’Europa, visto che dai gasdotti ucraini passa circa la metà del metano diretto verso il vecchio continente. (di Giuseppe Agliastro/ANSA)

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