La giornata politica: prima i programmi e poi i nomi dei ministri

ROMA. – La tattica europea di Matteo Renzi sottoscritta da tutto il Pse (prima i programmi e poi i nomi dei ministri) ha ottenuto un primo risultato: la Germania, come ha annunciato la Cancelliera Angela Merkel, accetta che il patto di stabilità sia interpretato in modo più flessibile in cambio – è implicito – della presidenza della Commissione Ue per il popolare Jean Claude Juncker. Difficile per ora dire chi abbia vinto e chi abbia perso. Il compromesso che si va delineando assomiglia ad un pareggio. E’ vero tuttavia che il muro del rigorismo tedesco mostra per la prima volta una crepa: i socialisti hanno chiesto e ottenuto che il nuovo presidente sottoscriva un’agenda nella quale crescita e lavoro hanno un ruolo centrale, sia pure all’interno dei parametri del patto di stabilità. L’Italia inoltre, ha fatto sapere il sottosegretario Gozi al termine dell’incontro che il premier ha avuto a palazzo Chigi con i capi dei gruppi parlamentari di Strasburgo, avrà commissari ”di peso”. La candidatura di Federica Mogherini a Mrs. Pesc, cioè a responsabile della politica estera europea, ”è un’ipotesi”, come ha ammesso la stessa interessata che attualmente guida la Farnesina. Al di là dello sviluppo dei negoziati, che sono ancora in divenire, è difficile negare che l’Italia abbia assunto improvvisamente un ruolo di maggiore prestigio sullo scenario continentale. Frutto della clamorosa vittoria elettorale del Pd, certo, ma anche della stanchezza dell’opinione pubblica europea che vive ormai il rapporto con Bruxelles ”come un incubo” per stare alle parole del Rottamatore. Il segretario-premier insiste da tempo sulla necessità di rivitalizzare tale rapporto sciogliendo i nodi che attanagliano quasi tutti i Paesi: più lavoro per i giovani, innanzitutto, e poi investimenti produttivi che dovranno essere scomputati dal deficit per generare un effetto volano sull’economia. Questa battaglia cruciale ha fatto passare fatalmente in secondo piano un altro scontro, quello sulle riforme. L’ immunità dei senatori è l’ultimo terreno sul quale si dispiegano le resistenze delle forze politiche. Ma non ha torto Gianni Cuperlo quando parla di ”una tempesta in un bicchiere d’acqua”: innanzitutto perché originariamente un po’ tutti i gruppi la richiedevano (compresi 5 stelle e berlusconiani) e poi perché sarebbe difficile introdurre una differenza di trattamento tra senatori e deputati se la seconda Camera manterrà comunque funzioni di rilievo costituzionale. In realtà la battaglia sull’immunità sembra soprattutto un modo per aprire un varco nell’asse Pd-Fi che sorregge il patto delle riforme. Paolo Becchi, ideologo del M5S, spiega infatti che il punto politico è mettere in crisi l’accordo tra Renzi e Berlusconi; e Luigi Di Maio, che guiderà la delegazione dei grillini insieme ai capigruppo nel vertice con il Pd, ne fa una delle bandiere del Movimento. L’impressione è che i 5 stelle punteranno le proprie carte sulla cancellazione dell’immunità e sulla possibilità che i democratici accolgano alcuni punti della loro proposta di legge elettorale (taglio dei costi della politica e dimezzamento dei parlamentari, preferenze). Ufficialmente l’M5S vuole sondare la reale disponibilità del Rottamatore alla trattativa per ”smascherarlo”, come dice Paola Taverna: se non ci saranno margini, perché i giochi sono già fatti, partirà una campagna per denunciare l’esclusione della seconda forza politica italiana dal percorso riformista. I democratici si preparano con la disponibilità a discutere la cancellazione dell’immunità per i senatori e l’ulteriore riduzione dei costi della politica, ma a condizione che ciò non significhi ripartire da zero. Il calcolo è che i grillini non accetteranno con ogni probabilità di ridurre la propria proposta ad un semplice percorso parlamentare emendativo che li porrebbe sullo stesso piano delle altre forze politiche. Ma sorprese sono sempre possibili. (Pierfrancesco Frerè /ANSA).

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