Fronda di 18 senatori della maggioranza, ma tiene il patto Renzi-Berlusconi

ROMA. – Si avvicina il voto che abroga il Senato elettivo e il bicameralismo, e nella maggioranza ripartono le fibrillazioni: 18 senatori dei partiti che sostengono il governo hanno infatti presentato una serie di sub-emendamenti che rimettono in discussione gli emendamenti dei relatori che sintetizzano gli accordi. A questo punto diventano indispensabili i voti della Lega e di Forza Italia che, in una riunione a cui sono intervenuti Giovanni Toti e Denis Verdini, ha blindato l’intesa raggiunta con il ministro Maria Elena Boschi. E Matteo Renzi tira dritto, come spiega il fidatissimo vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini: “il percorso procederà secondo la direzione e i tempi previsti”. Lunedì inizierà in Commissione affari costituzionali il voto sui 20 emendamenti dei due relatori, Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli, che raccolgono l’intesa tra maggioranza, Lega e Fi sul superamento del bicameralismo e l’elezione indiretta del Senato da parte dei Consigli regionali. Stamani scadeva il termine per presentare i sub-emendamenti ed ecco che è arrivato un pacchetto di 14 proposte firmate da 16 senatori del Pd (Vannino Chiti e Felice Casson in testa), più Mario Mauro e Salvatore Buemi, che assieme a altri 17 senatori delle opposizioni (Sel ed ex M5s) provano a rimettere in discussione tutto: il Senato deve essere eletto dai cittadini e deve avere dei poteri legislativi quasi immutati rispetto ad oggi. In una conferenza stampa per illustrare i sub-emendamenti Mario Mauro ha parlato di “deriva autoritaria” del ddl del governo. Cosa che ha fatto arrabbiare molti senatori del Pd che se la sono presa con i loro colleghi Chiti e Casson, presenti alla conferenza. E’ l’ennesimo strappo all’interno del gruppo Dem dove i rapporti con gli ex “autosospesi” sono tesi. La maggioranza ha in Senato 169 voti su 315, e i dissidenti farebbero saltare le riforme: ma nel governo non si è registrata una particolare preoccupazione, visto che regge l’intesa con Lega e Forza Italia. Anche quest’ultima ha presentato alcuni sub-emendamenti che però si inseriscono nel solco dell’impianto dei relatori: essi chiedono una maggior proporzionalità all’interno dei Consigli regionali al momento di eleggere i senatori. Emendamenti che Finocchiaro ha definito “seri”. Paolo Romani ha parlato di “accordo vicino” e comunque ha radunato i suoi 59 senatori alla presenza di Giovanni Toti e Denis Verdini, inviati da Berlusconi per blindare l’intesa. Mal di pancia ci sono, ha ammesso Romani, ma solo 4 senatori “azzurri” hanno presentato sub-emendamenti in dissenso. E’ chiaro che l’accordo riguarda anche la legge elettorale e le future modifiche all’Italicum, e l’impegno di Renzi a mantenere un dialogo “costituente” anche sui prossimi passaggi istituzionali (elezione Csm, giudici Consulta e, più in là, il successore di Napolitano). Ma tutto ciò fa a sua volta agitare M5s, che vede sfumare gli effetti dell’incontro di mercoledì con Renzi. Ne sono derivati alcuni “aut aut” a Renzi da parte dei grillini ( o noi o Berlusconi, dicono) bollati come “infantili” dal Deborah Bergamini, responsabile comunicazione di Fi. C’è poi un gruppo trasversale di senatori che propone di tagliare il numero dei deputati, nella recondita speranza che poi la Camera faccia saltare tutto. Ma Guerini, appunto, tranquillizza: “Siamo a un passo dalla riforma del Senato, è normale che nel dibattito vi sia la presentazione di diversi emendamenti, ma il percorso procederà secondo la direzione e i tempi previsti”. (Giovanni Innamorati/ANSA)

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