Mondiali Italia: Rocca, “Basta veline, torniamo alla fatica”

ROMA. – “Bisogna tornare alla fatica, al rispetto delle regole, e non pensare solo ai soldi e all’immagine folle che e’ stata data al mondo del calcio. Se il professionismo ha regole inderogabili per i soldi, queste regole devono valere anche per il sacrificio che si deve fare per rispettare la maglia”. Ai tempi in cui giocava, di Francesco Rocca dicevano che correva “come un matto”, e infatti lo chiamavano Kawasaki. Quando ha smesso di fare il calciatore e ha preso ad allenare invece hanno incominciato a dargli direttamente del matto: perche’ si era messo in testa di far correre gli altri attraverso il lavoro. Ora che il calcio italiano viene giu’ come un palazzo senza fondamenta alla minima scossa, i valori di un tecnico che e’ finito ai margini dell’organizzazione federale (al mondiale in Brasile ha fatto l’osservatore) tornano d’attualita’. “Io sono stato accusato per anni – spiega all’Ansa -, dicevano che non facevo mangiare i giocatori e che li ‘massacravo’ di lavoro facendo fare tre sedute di allenamento al giorno. Questo non è vero. Io ho sempre rispettato i miei giocatori e l’amore per la bandiera: e non è un caso che l’ultima finale a livello giovanile raggiunta dalla rappresentative azzurre, con l’Under 19, e’ segnata Rocca. La mia ricetta non cambia: il calcio deve ripartire da valori di moralità. Deve passare questo messaggio: non contano solo i soldi, conta la dignità della nazione, della federazione, della bandiera che rappresenti. Il calcio italiano ora è messo alla berlina: io lo dicevo che finiva cosi’, tutti mi ribattevano che ero esagerato. E se non stiamo attenti, andrà sempre peggio. Devi lavorare fisicamente, devi sudare, devi faticare. Il calcio non è fatto di macchine e veline, e’ un gioco ma è una cosa seria. Con me anche la nazionale maggiore, ai tempi di Vicini a Italia ’90 e di Dino Zoff, ha sempre corso. Bisogna ricominciare da questa idea, lavorando fisicamente, dando la maglia azzurra a chi la merita, a chi viene lì per lasciare tutto quello che ha dentro. Adesso gli altri corrono tutti, sono tutti Kawasaki e vanno a 200 all’ora, ad esempio come nella partita Honduras-Ecuador: se sul pallone noi italiani arriviamo secondi, non lo prendiamo mai. Io facevo svegliare i miei giocatori alle 5 non perché ero scemo ma perché avevo capito che in questa maniera stavamo andando a fondo”. Di Balotelli e i suoi fratelli, una generazione di giovani che non crescono, non vuole parlare: “dipende sempre dagli esempi che hanno questi signori. Quando vai lì devi rispettare le regole e la maglia della nazionale, con il sudore e con la fatica e non con le chiacchiere. Perché contano i risultati e non le chiacchiere. Con me chi non meritava la maglia azzurra stava a casa. Lo sport ha una dignita’: e noi attraverso le scuole calcio dove dobbiamo costruire tifosi e giocatori migliori”. Ma che contributo puo’ dare Rocca alla rinascita? “Sono a disposizione, certo dipende da quello che vorrà la Federazione: io oltre ai valori rispetto le regole”.

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