La giornata politica: Renzi, l’Italia non accetta lezioni di morale

ROMA. – L’ambizione di Matteo Renzi di ridare un’anima all’Europa si è scontrata subito con i ”pregiudizi” tedeschi. Il duro attacco del capogruppo del Ppe a Strasburgo Manfred Weber (della Cdu) al nostro Paese, proprio nella giornata in cui si inaugura il semestre di presidenza italiano della Ue, non sembra un semplice infortunio: non a caso il premier ha rispedito al mittente le impreviste critiche, ricordando – con accenti non molto diversi da quelli usati più volte da Silvio Berlusconi – che l’Italia non accetta lezioni di morale e che la nostra ricchezza privata è quattro volte il debito pubblico. E Gianni Pittella, capogruppo dei socialisti europei, è stato costretto ad avvertire che se cade il punto della flessibilità, viene meno anche l’accordo sul nome di Juncker quale presidente della Commissione Ue. Uno scontro che il Pse per ora tende ad attribuire ad una scivolata di Weber, ma che la dice lunga sui malumori che serpeggiano tra i fautori dell’austerity e che forse hanno suggerito al Rottamatore di volare alto nel suo discorso di insediamento, tendendosi alla larga dallo scottante tema del come innescare quella crescita senza la quale ”non c’è futuro per l’Europa”. In altre parole, resta un’ombra alle spalle del piano di Renzi: la reale portata dell’accordo raggiunto con Angela Merkel sulla flessibilità. Ombra che ha indotto il presidente del Consiglio a ricordare per la prima volta a Berlino come in passato sia stata proprio la commissione presieduta da Romano Prodi ad autorizzare per la Germania (che allora era in piena crisi) quegli sforamenti che adesso si vogliono negare all’Italia. Il premier ha molto insistito, con un intervento dai toni a volte un po’ retorici, sul fatto che l’Unione europea deve essere una comunità e non un’espressione geografica. Lo stesso accenno alla ”generazione Telemaco”, nelle intenzioni iniziali, doveva essere un richiamo alle necessità di dare corpo al trapasso generazionale, nel solco di quanto sta avvenendo in Italia. Ma forse ha toccato alcuni nervi scoperti che riguardano non solo il governo dell’Unione ma i suoi equilibri interni: in tal senso l’invito a non sottovalutare il rapporto con la Gran Bretagna (accolto con entusiasmo da David Cameron il quale si dice pronto a collaborare con Renzi), il focus su un’Europa terra di frontiera con il mondo dell’immigrazione, la necessità di rivoluzionare i rapporti con il mondo dei giovani e delle nuove tecnologie, sembrano essere stati accolti dai conservatori come un pericoloso attacco allo status quo della Ue ”germanocentrica”. Si vedrà ben presto se si tratta di esitazioni fisiologiche o di segnali di una imminente battaglia interna. Renzi tuttavia sa di poter contare su una compattezza dell’area socialista che quella popolare non ha. In questa direzione ha da spendere il rapido cammino imposto a Roma al percorso delle riforme. Tutto si regge, in ultima analisi, sulla tenuta del patto del Nazareno che è l’obiettivo nel mirino dei 5 stelle. Beppe Grillo tenta di scardinarlo ma l’impressione è che non ci sia lo spazio per farlo. Infatti a palazzo Madama le votazioni sulla riforma del Senato procedono con speditezza: il capogruppo azzurro Paolo Romani fa sapere che la parola definitiva giungerà dal Cavaliere in procinto di riunire i gruppi parlamentari per blindare l’accordo con il Rottamatore. Restano elementi da mettere a punto, come l’immunità per i senatori o le competenze della seconda camera sulle leggi di bilancio, ma nel complesso l’intesa Pd-Fi regge e la dissidenza è circoscritta. Il fatto stesso che Renzi abbia preso tempo sul nuovo incontro con i grillini è un segnale: il M5S lo accusa di fare melina, ma è anche vero che dal movimento non sono giunte nel merito nuove proposte sulla legge elettorale. La velocità è tutto. Se le riforme tengono, per il capo del governo sarà più facile trattare con Berlino i margini di flessibilità vitali per scongiurare una manovra correttiva in autunno. Le stime di crescita infatti non sono brillanti e per il Rottamatore sarebbe paradossale dover aumentare le tasse dopo aver messo nelle tasche dei lavoratori 80 euro in più al mese. (Pierfrancesco Frerè /ANSA).