Onu contro Usa, arma Israele. Richiamati altri 16mila riservisti

TEL AVIV. – Israele per ora non si ferma nella sua operazione a Gaza. Almeno finché non avrà finito il lavoro di eliminare il pericolo dei tunnel dalla Striscia. Per questo ha annunciato il richiamo di altri 16.000 riservisti. Nella Striscia, al 23esimo giorno di guerra, la situazione registra un bilancio drammatico di 1.400 morti e oltre 8mila feriti. Ma non si fermano neanche i razzi su Israele, i colpi di mortaio da Gaza. In questo scenario, l’Alto Commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay ha accusato oggi gli Usa di fornire “artiglieria pesante a Israele” con una spesa di “quasi un miliardo per creare una protezione contro i razzi a beneficio dei civili israeliani ma non di quelli palestinesi”. Poi ha detto che Hamas e Israele “commettono gravi violazioni dei diritti umani, che potrebbero costituire crimini contro l’umanità”. In particolare lo Stato ebraico, che “deliberatamente” viola il diritto internazionale. L’offensiva dell’Onu contro la guerra ha schierato anche una nuova riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza: “Israele, Hamas e gli altri gruppi – ha ammonito la responsabile per gli affari umanitari delle Nazioni Unite, Valerie Amos – devono rispettare gli obblighi derivanti dal diritto internazionale umanitario. Anche la guerra ha delle regole”. Israele – mentre i razzi sono tornati anche su Tel Aviv – ha respinto le accuse. “Hamas – ha detto il suo rappresentante alle Nazioni Unite Ron Prosor – è responsabile di crimini di guerra e usa i civili come scudi umani”. “Basta con questa idea di Hamas che combatte per la libertà”, ha aggiunto, ricordando che la fazione islamica “è un’organizzazione terroristica” e che “nessun soldato israeliano” spara “intenzionalmente sui civili”. Per questo – ha risposto da Gerusalemme il premier Benyamin Netanyahu nella seduta di governo – l’esercito va avanti per finire il lavoro e, “con o senza tregua”, continuerà a neutralizzare i tunnel. “Siamo determinati – ha proseguito – a proseguire nella nostra missione”. A giudicare dalle mosse sul campo – che hanno registrato una minore intensità di attacchi alla Striscia – l’esercito israeliano sembra stia avanzando, anche se di poco per ora, all’interno di Gaza: l’agenzia Maan ha riportato la morte di 5 palestinesi uccisi dal fuoco israeliano a Nusseirat e a Deir el-Balah, nel settore centrale della Striscia. L’esercito, che ha denunciato più volte l’uso di strutture civili da parte di Hamas, ha anche diffuso un filmato che mostra l’interno di una moschea di Gaza nel quale sono stati trovati vani con armi e due tunnel. La situazione umanitaria – come ha denunciato l’agenzia dei rifugiati dell’Onu, l’Unrwa – è catastrofica: i civili a Gaza “sono sull’orlo di un precipizio”, secondo il capo dell’organizzazione Pierre Krahenbuhl. Il presidente palestinese Abu Mazen ha informato il segretario generale Ban Ki-moon di aver dichiarato Gaza “area disastrata”, chiedendo la protezione delle Nazioni Unite. Gli sfollati nell’enclave – secondo dati forniti dal portavoce dell’agenzia su posto, Adnan Abu Hasna – sono 226mila nelle strutture dell’Unrwa. Ma cifre dell’Onu portano a circa 400.000 il numero complessivo e Amos ha sottolineato che “l’80% delle persone uccise finora sono civili, di cui 251 bambini”. La diplomazia – anche se al Cairo si continua a lavorare – sembra per ora essere impotente nel fermare la guerra. E la Casa Bianca, per bocca del portavoce Josh Earnest, ha definito “il bombardamento di edifici dell’Onu adibiti a rifugio totalmente inaccettabile e indifendibile”. “Non abbiamo alcun elemento che contraddica la versione sull’incidente fornita dalle Nazioni Unite”, ovvero che a sparare sia stato Israele, ha aggiunto. A spingersi ben più in là nell’attaccare lo Stato ebraico è stato il premier turco Erdogan, vicino a Hamas, che ha paragonato l’operazione militare israeliana a “quelle dei nazisti e di Hitler”: “Quanto avviene a Gaza richiamo lo spirito perverso del male di Hitler: è razzismo, è fascismo”, ha tuonato. Nonostante tutto questo, dall’India il segretario di Stato americano John Kerry, pur senza fare “promesse”, ha detto che “gli Usa conservano la speranza per un cessate il fuoco”. A restare ancora sul tavolo – dopo gli alti e bassi di questa settimana – sembra essere la proposta di mediazione egiziana, “l’unica carta da giocare”, l’ha definita il premier Matteo Renzi, che sabato arriva al Cairo per incontrare il presidente Sisi.  (Massimo Lomonaco/Ansa)