Argentina: Kirchner cavalca la guerra agli hedge fund

BUENOS AIRES. – Lo scontro con gli hedge fund avrà fatto ricadere l’Argentina in default, complicando una situazione economica già di per sé difficile, ma ha fornito a Cristina Fernandez de Kirchner una causa dal tono epico per affrontare l’ultimo anno del suo mandato – “patria o avvoltoi” – che ha rilanciato la sua immagine nei sondaggi. Fino a un mese fa, la “presidenta” sembrava in ritirata. L’inflazione, superiore al 30%, il rallentamento della crescita e i problemi di riserva valutaria l’avevano forzata a prendere una serie di misure in rottura con la sua politica economica: svalutazione del 13%, flessibilità del mercato dei cambi e soprattutto iniziative tese a normalizzare i rapporti con i mercati finanziari. Risolti il problema dell’indennizzo alla spagnola Repsol per la sua estromissione da Ypf, i debiti con il Club di Parigi e le cause presso il Ciadi, Kirchner si è trovata a dover fronteggiare però con la madre di tutte le battaglie: la ristrutturazione del debito proveniente dal default del 2001, il più grande della storia contemporanea. Dopo un decennio di litigi giudiziari, la sentenza del giudice Thomas Griesa – che ordina di pagare 1,6 miliardi di dollari agli “hedge fund” che non hanno accettato gli swap – è stata confermata dalla Corte Suprema. Per il magistrato non c’erano dubbi: era arrivato il momento di pagare. Kirchner, però, non ha ceduto: in un crescendo di dichiarazioni che hanno radicalizzato lo scontro, ha definito la sentenza assurda ed inapplicabile, accusato Griesa di essere un portavoce dei “fondi avvoltoio” come vengono definiti gli hedge in Argentina, denunciato che “l’anarco-capitalismo” vuole mettere in ginocchio il suo paese e promesso: “non firmerò mai nulla possa causare danni al mio popolo”. Questo atteggiamento è stato letto con pragmatismo dagli analisti, secondo i quali al di là della retorica nazionalista Buenos Aires finirebbe per accettare un accordo con gli “hedge fund”, ma è servito anche per risvegliare un antiamericanismo che forma parte del codice genetico del peronismo. “Cristina o avvoltoi”, si legge su manifesti affissi a Buenos Aires, che ricordano il celebre “Peron o Braden”, lo slogan con il quale Peron vinse le elezioni nel 1946 ponendosi come avversario dell’ambasciatore Usa, Spruille Braden. E secondo i sondaggi il tono patriottico funziona: il gradimento del governo è salito al 32,4%, quando a giugno era del 25,5%. La vicenda è servita anche per lanciare la candidatura del ministro dell’Economia, Axel Kicillof, per le presidenziali del 2015. Questo brillante economista quarantenne di radici marxiste, noto per i suoi discorsi dal tono dotto eppure sfottente, protagonista dello scontro con gli hold out è diventato un aspirante alla guida del “modello nazionale e popolare” per l’anno prossimo, alla fine del secondo mandato di Kirchner. Così, mentre su Facebook è già comparsa una pagina “Kicillof 2015”, il giovane ministro riceverà domani il suo battesimo del fuoco parlando per prima volta dalla tribuna di un meeting politico del kirchnerismo, nel centro di Buenos Aires, convocato con la parola d’ordine: “Argentina, patria o avvoltoi”.

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